ETTORE GOTTI TEDESCHI: CHE COSA CI INSEGNA IL CORONAVIRUS

Mi son ricordato non solo la lettura di mercoledi delle Ceneri: Genesi 3,19 “ Memento homo quis pulvis es..”, ma anche che San Paolo scriveva che “ quando sono devole è allora che sono forte “ e “nella debolezza si manifesta la forza di Dio “ (2Cor 12.10). Ed oggi siamo molto deboli.

Ma anche Seneca scrisse che “noi viviamo come dovessimo vivere sempre, dimenticando quanto siamo fragili “. Saggezza filosofica.

Don Nicola Bux mi ha mostrato, con le sue parole, un valore misterioso della esistenza umana che sta nel saper riscoprire il senso dei nostri limiti umani, ma anche la dignità di questa nostra fragilità. Ci sentiamo semidei, poi basta un bacillo, un virus per riportarci alla realtà ed a riflettere sul senso della vita. La nostra supposta autosufficienza, il sentimento di immortalità, spesso avvalorata dal successo professionale (quasi sempre insostenibile ) o dalla salute inattaccabile (su cui confidavamo, scoprendo che è impossibile), si rivela tutt’un tratto essere una illusione che ci apre gli occhi sui nostri limiti ineliminabili. Limiti che pretendono soprattutto l’aiuto di Dio, ma anche l’aiuto degli altri, generando all’improvviso una santa solidarietà verso il prossimo. La nostra fragilità, in un momento come questo di angoscia per questo virus di cui non capiamo molto, genera un bisogno ed una disponibilità di attenzione solidale che diventa “ terapeutica” a doppio senso, per noi e per il prossimo. Soprattutto in un momento in cui i pronto soccorso son chiusi, gli ospedali intasati, i medici tamponati in quarantena e sempre con il telefono occupato(per aiutare i loro pazienti), in questo momento scopriamo non solo quanto eravamo folli a pensare di non avere limiti, ma anche di quanto fosse pericoloso farlo, perchè avevamo dimenticato cosa è carità e solidarietà, da dare e ricevere. Essere costretti a provare sofferenza e dolore, che in sè non sono certo un bene, per noi e per il prossimo, ci permette di trasformarli in un valore, un occasione di crescita spirituale in un mondo talmente materialistico da spaventare. Benedetto XVI in “Spe Salvi” (n. 38) spiega che “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e il sofferente “ e ciò vale per il singolo come per la società. Ma anche San Paolo nella lettera ai Colossesi si dichiara “lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e completa nelle mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del Suo Corpo (mistico) che è la Chiesa” (Col 1.24). Può essere questo una occasione per offrire le nostre mortificazioni anche, o soprattutto, per la nostra Chiesa?

Io credo di si.

gotti1Ettore Gotti Tedeschi

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