IL SINODO PANAMAZZONICO o la rivincita di Eleazar López sul CARDINALE JOSEPH RATZINGER …”La dottrina protestante e quella dei greci scismatici devono diffondersi dappertutto. Ora vedo che in questo luogo la Chiesa viene minata in maniera così astuta che rimangono a mala pena un centinaio di sacerdoti che non siano stati ingannati. Tutti loro lavorano alla distruzione, persino il clero. Si avvicina una grande devastazione”. Beata Caterina Emmerick

Il prossimo Sinodo si svolgerà a Roma e si occuperà di Amazzonia, la vasta area di terre pianeggianti in Sud America. Ma, paradossalmente, il grande vincitore dell’evento sarà un nativo indiano zapoteca delle alte zone montuose del Nord America, più precisamente di Oaxaca, in Messico. Ovvero il sacerdote Eleazar López Hernández1, della diocesi di Tehuantepec, dedito alla pastorale indigena dal 1970 e “ritenuto ‘l’ostetrico della teologia India’ in America Latina”2.

Già negli anni ’90, la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), guidata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, chiese ad un misurato professore dell’Università di Salamanca, il gesuita Luis Ladaria Ferrer, oggi cardinale prefetto della suddetta Congregazione, di studiare e dare un parere sugli scritti di don Eleazar López3.

Nel maggio 1996, la CDF organizzò a Guadalajara (Messico) il secondo incontro dei presidenti delle Commissioni Dottrinali delle Conferenze Episcopali dell’America Latina. In quell’incontro a porte chiuse, durato una settimana, lo stesso Cardinale Ratzinger tenne una conferenza “sulla situazione attuale della Fede e della Teologia”. In essa parlò della crisi della Teologia della liberazione scaturita dal “naufragio dei sistemi di governo d’ispirazione marxista in Europa orientale [che] si rivelò essere, per questa teologia della prassi politica redentrice, una sorta di crepuscolo degli dei”. Aggiunse anche che “Il relativismo è così diventato il problema centrale della fede nel tempo corrente” e denunciò, in particolare, “la cosiddetta teologia pluralista delle religioni”4, citando come esempi teologi europei ed asiatici e il New Age nordamericano. Tuttavia, evitò accuratamente di menzionare la forma che suddetta teologia pluralistica delle religioni stava prendendo in America Latina, ossia, la Teologia India, che era in realtà la ragione principale di quella convocatoria e il tema centrale di quella settimana di riunioni.

Ciò nonostante, nella conferenza stampa conclusiva dell’incontro, il panzer kardinal sferrò un colpo energico contro la Teologia India: “Ratzinger citò come deviazioni dottrinali”, dice un rapporto, “quei movimenti che vogliono una Teologia India e si avvalgono di questi popoli per proporre punti di vista particolari, specialmente per far regredire e mettere da parte il cristianesimo. Vogliono resuscitare i riti, le credenze e le religioni dei nativi, come erano praticati prima della Conquista, come se il Vangelo fosse stato oppressivo”. E aggiunse: “Qui si è parlato di un nuovo modo di manipolare le popolazioni indigene e le loro culture. Sono venuti antropologi, pseudo-teologi e altre persone molto favorevoli all’indigenismo, che vogliono fare dei nativi pezzi da museo o oggetti di folclore per attrarre turismo”5.

Non c’è dubbio che, tra gli “pseudo-teologi”, il cardinale Ratzinger aveva in mente il presbitero Eleazar López, che aveva già ottenuto i suoi galloni come uno dei relatori più importanti agli Incontri Latinoamericani di Teologia India (il primo ebbe luogo in Messico, nel 1990, in cui presentò un intervento intitolato “Teologia India oggi”6) e che allora fungeva da  principale animatore intellettuale del Centro Nazionale per l’Assistenza alle Missioni Indigene, CENAMI, un organismo autonomo che agiva in collaborazione (non esente da tensioni) con l’episcopato messicano. Il CENAMI era, per eccellenza, l’ente promotore di questa teologia.

Tre anni dopo, nel corso della conferenza stampa in aereo che lo portava in Messico, lo stesso Papa Giovanni Paolo II espresse la medesima preoccupazione del suo custode della fede. Alla domanda sulle sue speranze per il Chiapas e per il popolo indigeno (la regione era ancora coinvolta nel conflitto “zapatista” e, sul piano religioso, scossa dalle controversie suscitate a rispetto della “chiesa autoctona” promossa dal vescovo Samuel Ruiz, ordinario di San Cristóbal de las Casas), il pontefice rispose severamente: “Oggi si pensa molto a sostituire la teologia della liberazione con la teologia indigena, che sarebbe un’altra versione del marxismo. La vera soluzione sta nella solidarietà”7.

Mostrandosi più accondiscendente con la Teologia India che con la sua fonte ispiratrice, la Teologia della liberazione, il Cardinale Ratzinger ritenne necessario, alla fine del 1999, chiedere al Vescovo Felipe Arizmendi, neo eletto Segretario Generale del CELAM, di “promuovere dialoghi teologici tra vescovi e promotori della Teologia India, al fine di valutare i contributi di questa Teologia e discernere quei punti che richiedono chiarimenti”8.

E nel luglio 2004, scrisse una lettera al cardinale Francisco Javier Errázuriz, allora presidente del CELAM (Conferenza Episcopale Latinoamericana), ricordandogli che “secondo il piano precedentemente concordato dovrebbero essere convocati altri incontri, questa volta su base regionale, per continuare il percorso di approfondimento dei diversi contenuti dottrinali della Teologia India fino a raggiungere un chiarimento completo e definitivo degli aspetti problematici già identificati”9. Difatti, la Congregazione per la Dottrina della Fede nominò come suo delegato per questo dialogo l’arcivescovo colombiano Octavio Ruiz Arenas, in seguito Vice Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (CAL).

Nel luglio del 2005, Mons. Felipe Padilla Cardona, vescovo di Tehuantepec, la diocesi in cui don Eleazar López è tuttora incardinato, convocò quest’ultimo per dirgli che aveva ricevuto una lettera dalla CDF nella quale si esprimeva preoccupazione per la sua teologia e, in particolare, per via di una recente conferenza tenuta all’Associazione dei Missiologi Cattolici10. Di ritorno dalla visita ad limina dei vescovi messicani a Roma, nel mese di ottobre dello stesso anno, il vescovo lo informò che la CDF aveva deciso di trasferire il suo caso alla Conferenza Episcopale Messicana, riservandosi di intervenire solo se esso non fosse stato risolto a livello locale. Di fatto, fu costituita una commissione di quattro vescovi per dialogare con il teologo zapoteca. Intanto il suo vescovo gli impose, come misura cautelare, di lasciare il Centro Nazionale per l’Assistenza alle Missioni Indigene (CENAMI) e tornare alla diocesi per il lavoro parrocchiale. La “punizione” fu di breve durata e, subito dopo, il sacerdote era già in grado di tornare a Città del Messico per continuare la sua attività indigenista col CENAMI.

Il problema principale che la Santa Sede affrontava in Messico non era tuttavia il teologo López bensì la diocesi di San Cristóbal de las Casas, che metteva in pratica molti dei concetti della Teologia India dai giorni in cui era stata governata dal controverso vescovo mons. Samuel Ruiz e che continuava a mettere in pratica sotto il suo successore, il già citato mons. Felipe Arizmendi.

Il Vaticano si mostrava particolarmente preoccupato col progetto di creare una “chiesa autoctona”, mediante l’ordinazione di centinaia di indiani come diaconi permanenti, che dava loro la speranza che in futuro sarebbero potuti essere ordinati sacerdoti11. L’influenza della Teologia India su questa pastorale rimase chiara in un’intervista del teologo della liberazione Juan Tamayo all’allora vescovo emerito Samuel Ruiz. “Avrai certamente letto Eleazar López e altri che stanno nel campo della Teologia India. La riflessione di Eleazar è doppiamente valida perché è un sacerdote indigeno che vive all’interno della pastorale indigena”, ebbe ad affermare il presule12.

Nell’ottobre 2005, il cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, scrisse a Mons. Arizmendi una lettera ufficiale ribadendo il divieto di ordinare diaconi permanenti a San Cristóbal de las Casas “fin quando non sia risolto il problema ideologico sottostante”. In essa il porporato affermava che “continua ad essere latente nella diocesi l’ideologia che promuove l’attuazione del progetto di una Chiesa autoctona”. Sottolineava, in modo particolare, che “alimentare nei fedeli aspettative contrarie al Magistero e alla Tradizione, come è il caso di un diaconato permanente orientato verso il sacerdozio uxorato (sposato), pone la Santa Sede nella posizione di dover respingere le varie richieste e pressioni e, dunque, di farla apparire intollerante”13.

Il caso specifico del presbitero Eleazar López riemerse dopo che Joseph Ratzinger assunse il soglio pontificio come Benedetto XVI. Nel maggio 2007, a margine della Conferenza del CELAM ad Aparecida, il sostituto per la Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale William Levada, concesse al teologo messicano un colloquio privato in cui gli disse a maniera di preambolo: “Già [la] conoscevo per via dei documenti che mi avevano portato [su di lei]”, aggiungendo enfaticamente: “Voi volete che la Congregazione per la Dottrina della Fede decida in favore della Pastorale Indigena e della Teologia India; però la Congregazione non può prendere tali decisioni finché non abbia la certezza che queste non influiscano sull’integrità della fede. Voi, che pretendete di avere queste certezze, presentatele alla Congregazione in modo che possiamo agire di conseguenza”14.

Nella prima bozza della dichiarazione finale di quella riunione generale del CELAM, ad Aparecida, apparve il termine “Teologia India” per iniziativa del presidente della Conferenza Episcopale Panamense. Nella seconda bozza, tuttavia, questa espressione venne rimossa “per l’intervento di autorità superiori”, come in seguito si venne a sapere. Con la firma di 17 Presidenti di Conferenze Episcopali (ben al di sopra delle 7 richieste dal regolamento) si introdusse una mozione al fine di considerarne la sua reintroduzione.  Il cardinale Levada intervenne alla plenaria motivando le ragioni del perché non dovesse essere utilizzata e, infine, il suo reinserimento fu respinto con uno stretto margine di 59-63.  Secondo padre López, il cardinale Levada avrebbe assicurato che la sua opposizione “non era perché la Congregazione per la Dottrina della Fede fosse contro la Teologia India, ma perché si doveva attendere che il processo di discernimento iniziato dai vescovi delle conferenze nazionali e dal CELAM culminasse con un comunicato ufficiale di riconoscimento da parte della Congregazione” cosa che “probabilmente potrà verificarsi nel settembre 2007, mese in cui ci sarà una riunione specifica per decidere la questione” Questa riunione inter-dicasteriale si svolse effettivamente a Roma, ma “in essa non fu approvato l’uso ufficiale del termine Teologia India”15.

Ancora cinque anni dopo, don López era una spina nel fianco della CDF. Nel marzo del 2012 il teologo fu convocato dal vescovo (oggi cardinale) Carlos Aguiar Retes, contemporaneamente presidente dell’episcopato messicano e del CELAM, il quale gli comunicò alcuni passi di una lettera ufficiale della CDF, firmata dal vescovo Ladaria, all’epoca segretario della Congregazione, la quale asseriva: “Il presbitero Eleazar López Hernández, uno dei più noti esponenti della Teologia India, in un dialogo personale mi ha detto che sarebbe meglio iniziare a parlare di saggezza indigena invece che di Teologia India. Certamente questo sarebbe un grande passo in avanti che porterebbe l’intera discussione su un piano e un linguaggio molto più chiari e accurati. (…) Sarebbe molto utile se il presbitero Eleazar López Hernández scrivesse un articolo per dimostrare la necessità di questo cambiamento e le sue ragioni”16.

Esaudendo la richiesta, «l’ostetrico» della Teologia  India pubblicò due mesi dopo un articolo dal titolo “la Teologia India e il suo posto nella Chiesa” in cui, lungi dall’accettare il cambio di nome, ribadiva le sue precedenti dichiarazioni, nel senso che anche se “le cosiddette teologie indie non sono basate su grandi tesi filosofiche, né hanno sistematizzazioni, né libri di successo né esponenti connotati”, e neppure hanno una “pretesa di universalità, né di dimostrare niente a nessuno davanti alle istanze della ragione”, tuttavia esse meritano il titolo di Teologia India. Enfatizzando che dette teologie indigene “non usano un linguaggio discorsivo o filosofico bensì mistico e simbolico”, perché sono “semplicemente la parola indigena su Dio, sul mondo, su noi stessi”, don López concludeva che “la teologia nella Chiesa dovrebbe essere tutta così; perché Dio non può essere oggettivato come gli altri oggetti della conoscenza e della scienza”17.

Cinque mesi dopo, partecipando a un Congresso Internazionale di Teologia a Sao Lepoldo (Brasile), Eleazar López aggiunse che, a suo parere, l’espressione “saggezza indigena”, sebbene preziosa “perché contiene la conoscenza che i nostri popoli hanno raccolto in processi millenari assaporando sia la vita sia Dio in tutte le sue manifestazioni”, il suo utilizzo “ha connotazioni peggiorative, di conoscenza primitiva senza sostegno scientifico” e che, pertanto, accettare la proposta che la CDF fa “è chiedere di assumere nella Chiesa, senza fiatare, la condizione d’inferiorità che la società coloniale ci ha imposto”.  Quindi, “smettere di parlare di Teologia India o di Teologia dei popoli indigeni, solo per mandato dell’autorità, significherebbe rinunciare al nostro approccio per stabilire una relazione giusta della Chiesa con i nostri popoli che vogliono starvi con le fondamenta delle loro culture ancestrali”18.

Meno di un anno più tardi, Benedetto XVI rinunciava alla Cattedra di Pietro e gli succedeva Jorge Mario Bergoglio. Appena nove mesi dopo la sua elezione,   riceveva in udienza mons. Felipe Arizmendi accompagnato dal suo vescovo ausiliare. Come risultato di questo incontro, nel maggio 2014, il cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, inviava una lettera a San Cristóbal de las Casas nella quale la Santa Sede autorizzava nuovamente l’ordinazione dei diaconi permanenti nella diocesi.

Ma la spinta più grande avvenne il 13 febbraio 2016, quando Papa Francesco si recò appositamente nel Chiapas per raccogliersi in preghiera davanti alla tomba del controverso mons. Samuel Ruiz, morto due anni prima, e della cui pastorale Elio Masferrer Kan, ricercatore presso la Scuola Nazionale di Antropologia e Storia (ENAH), tracciò in quell’occasione il seguente bilancio a un corrispondete della BBC: “Nel Chiapas c’è un’organizzazione che è evidentemente il risultato della Teologia India, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”19.

Nel centro sportivo comunale Bergoglio celebrò la Messa, le cui letture vennero pronunciate nelle lingue native, assistito all’altare da numerosi diaconi indigeni. Nel suo sermone, circondato da figure di animali, citò il Popol Vuh (il libro delle leggende mitiche dei Maya Quiché). Citando ampiamente la sua enciclica Laudato Si ‘, dichiarò che non possiamo rimanere sordi “di fronte a una delle più grandi crisi ambientali della storia” e aggiunse: “in questo voi avete molto da insegnarci, da insegnare all’umanità. I vostri popoli, come hanno riconosciuto i vescovi dell’America Latina, sanno relazionarsi armoniosamente con la natura, che è rispettata come ‘una fonte di cibo, una casa comune e un altare di condivisione umana’” (Aparecida, 492)”.

Commentando questi eventi, il teologo zapoteca dichiarò, due settimane dopo, che gli indigeni del Messico “sono gli unici che credono veramente nella trascendenza degli eventi che incorniciano questa visita papale”, poiché  “loro – come i loro antenati ancestrali che percepivano nel teul o straniero che arrivava il ritorno del loro Dio Quetzalcoatl – hanno visto nel Papa un teopízcatl, ovvero una presenza divina venuta in aiuto dei loro bisogni per ristabilire l’armonia del buon vivere e del vivere insieme”20.

Tuttavia la vera rivincita di don Eleazar López Hernández sul cardinale Joseph Ratzinger si è consumata con la convocazione dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia, il cui Documento Preparatorio cita esplicitamente la Teologia India, affermando che “mentre pensiamo a una Chiesa dal volto amazzonico” si aprono nuovi cammini che “dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teologia (teologia india)”.

La nota in calce rimette al documento finale del VI simposio di Teologia India, organizzato dal CELAM ad Asunción (Paraguay), nel settembre 2017, che dichiara:

“La teologia di ogni popolo ha le sue radici e si nutre nel territorio e nel contesto storico; per questo motivo, le teologie indigene sono anche teologie contestuali.

“Dato che ci sono centinaia di popoli indigeni, ognuno con la propria teologia, cosmovisione e convivenza col cosmo, il processo di inculturazione del Vangelo deve rispettare tempi, spazi, processi, il che richiede ascolto senza idee preconcette, tenendo presente che il Vangelo è una proposta e non un’imposizione. (…)

“Riaffermiamo che il metodo delle teologie indigene è fortemente simbolico, narrativo, cosmico e celebrativo”.

E, come se fosse una risposta diretta alla relazione sulla teologia pluralistica delle religioni pronunciata dal cardinale Ratzinger a Guadalajara nel 1996, il documento finale del VI Simposio di Teologia India conclude: “È urgente andare avanti in un processo di dialogo interculturale e interreligioso, per arricchirci reciprocamente, tenendo conto che le nostre teologie non sono complete né definitive. È tempo di promuovere le teologie interculturali e interreligiose, come processo per l’elaborazione delle teologie indigene”21.

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