Cardinal Joseph Ratzinger, 72, is the vice-dean of the College of Cardinals and was once archbishop of Munich. Known as “the Panzer Cardinal,” the conservative Ratzinger is powerful in the Vatican but may be too close to the pope for the cardinals’ taste. While there is no official talk at the Vatican about who will succeed the ailing Pope John Paul II, several potential candidates have emerged–including Ratzinger. (Photo by Grzegorz Galazka/Getty Images)
L’
idea pre-darwiniana secondo cui «ogni singola specie» è «un dato della creazione, che grazie all’opera creatrice di Dio esiste sin dal principio del mondo accanto alle altre specie come qualcosa di unico e di diverso», è una visione che «contraddice l’idea dell’evoluzione e oggi è diventata insostenibile». Ad affermarlo, nel lontano 1969, uno dei più importanti teologi cattolici: Joseph Ratzinger.
Si tratta di una poco conosciuta lezione pubblicata in una raccolta di saggi intitolata Wer ist das eigentlich – Gott? (München 1969) e rivela, forse meglio di tanti altri suoi interventi sul tema, che la Chiesa cattolica non è affatto nemica della teoria di Charles Darwin (seppur lo è di una sua interpretazione filo-ateista, il neodarwinismo filosofico).
Proprio il naturalista inglese è l’oggetto di riflessione del teologo Ratzinger, il quale «scatenò una rivoluzione dell’immagine del mondo non inferiore a quella che per noi si lega al nome di Copernico». Innanzitutto perché «la teoria del fissismo della specie» che «considerava ogni singola specie come una realtà creata da Dio fin dall’inizio del mondo, esistente come qualcosa di separato e distinto da tutte le altre specie […] non è conciliabile con quella evoluzionistica e che questo aspetto della fede di altri tempi non è oggi più sostenibile».
Questa chiarificazione, tuttavia, «non è ancora sufficiente per spiegare il concetto di creazione». La quale, se correttamente interpretata non è affatto in contraddizione con la selezione naturale darwiniana: «la fede nella creazione si pone il problema del perché qualcosa esiste al posto del nulla; la teoria dell’evoluzione si domanda invece perché esistano proprio queste cose e non altre. In termini filosofici si potrebbe dunque dire che l’evoluzionismo rimane sul piano fenomenologico, occupandosi delle singole realtà concrete, mentre la fede nella creazione si muove sul piano ontologico, contempla il miracolo dell’essere, nel tentativo di cogliere il fondamento che sta dietro alle singole cose e di arrivare al mistero di questo “essere” comune a tutte le realtà». Così, sottolineò magistralmente Ratzinger, «la fede nella creazione riguarda la differenza tra il nulla e l’essere, mentre la teoria nell’evoluzione vuole spiegare la differenza tra i diversi esseri».
La presa di distanza del futuro Benedetto XVI dal creazionismo biblico, oggi ancora sostenuto dal mondo protestante e, purtroppo, anche da qualche cattolico, è netta: «è stato eliminato dalla teoria dell’evoluzione. Il credente deve perciò accettare le conquiste della scienza ed ammettere che la maniera in cui egli si era immaginata la creazione, apparteneva ad una concezione prescientifica del mondo, diventata oggi indifendibile». L’interpretazione letterale delle Scritture, danneggia «la comprensione della trascendenza della parola di Dio rispetto a tutte le sue singole forme espressive». Anche l’evoluzione dell’uomo non è più smentibile: «o tutte le singole cose sono prodotto dello sviluppo, e quindi lo è anche l’uomo, oppure non lo sono. Quest’ultima (opzione) è fuori discussione, quindi rimane la prima».
Anche Ratzinger, come il biologo Stephen Jay Gould, propose di separare le due sfere: «la dottrina dell’evoluzione non può assolutamente incorporare la fede nella creazione. In questo senso essa può giustamente indicare l’idea della creazione come inutilizzabile per sé: non può stare fra i materiali positivi alla cui elaborazione essa è vincolata per metodo». Dall’altra parte, però, l’evoluzione biologica «deve lasciare aperta la domanda se la problematizzazione della fede non sia legittima e possibile per sé. A partire da un certo concetto di scienza, al massimo la può vedere come extrascientifica, ma non può vietare per principio alcuna domanda sull’uomo che si rivolga alla questione dell’essere come tale. Al contrario, tali domande ultime saranno sempre indispensabili per l’uomo che vive faccia a faccia con l’Ultimo e non può essere ridotto a ciò che è documentabile scientificamente».
La questione più interessante, allora, è capire se la fede nella creazione può «assumere in sé l’idea dell’evoluzione come un di più oppure se al contrario questa contraddica il suo fondamento». La domanda posta da Ratzinger è: «la rappresentazione di un mondo in divenire è conciliabile con l’idea biblica fondamentale della creazione del mondo da parte del Verbo, con il ricondurre l’essere al senso creatore? L’idea dell’essere espressa nella Bibbia può coesistere con quella del divenire elaborata dalla teoria dell’evoluzione?». Già per i Padri della Chiesa, in realtà, «l’immagine biblica del mondo, così come essa si esprime nei racconti della creazione del Vecchio Testamento, non era affatto la loro. In sostanza appariva antiscientifica a loro tanto quanto a noi».
Arrivando alle conclusioni: «la creazione non è un principio lontano e nemmeno un principio suddiviso in più stadi, bensì coinvolge l’essere contingente e l’essere in divenire: l’essere contingente è abbracciato nella sua interezza dall’unico atto creatore di Dio, il quale gli dà nella sua divisione la sua unità, in cui contemporaneamente consiste il suo essere, che non è misurabile per noi, perché noi non vediamo il tutto, anzi noi stessi siamo solo sue parti. La creazione non è da pensare secondo lo schema dell’artigiano che realizza oggetti di ogni sorta, ma nella maniera in cui il pensiero è creatore». Il pensiero di Ratzinger, così, si avvicina a quello del gesuita Teilhard de Chardin, per il quale «la materia rappresenta un momento nella storia dello spirito. Questa però è solo una diversa espressione dell’affermazione che lo spirito è creato e non è puro prodotto dello sviluppo, anche se si manifesta alla maniera dell’evoluzione. La comparsa dello spirito significa piuttosto che un moto progressivo raggiunge la sua meta stabilita».
Come dunque interpretare l’inizio dell’umanità in Adamo ed Eva, secondo il racconto biblico? «Adamo significa ognuno di noi», rispose Ratzinger. «Ogni uomo è in rapporto diretto con Dio. La fede afferma sul primo uomo nulla di più che su ciascuno di noi e viceversa su di noi nulla di meno che sul primo uomo. Ogni uomo è più che un prodotto di disposizioni ereditarie e ambiente, nessuno è solo risultato dei fattori calcolabili del mondo, il mistero della creazione sta sopra ognuno di noi». Così, a proposito del “primo uomo”: «L’argilla divenne uomo nell’istante in cui un essere per la prima volta, anche se ancora in modo confuso, riuscì a sviluppare l’idea di Dio. Il primo “tu” che fu pronunciato – balbettando come sempre – nei confronti di Dio dalle labbra dell’uomo, indica l’istante in cui lo spirito era nato nel mondo. Qui fu attraversato il Rubicone dell’umanazione». E, tuttavia, «l’istante dell’umanazione non può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione è l’insorgenza dello spirito, che non si può dissotterrare con la vanga. La teoria dell’evoluzione non annulla la fede, e nemmeno la conferma. Ma la sfida a comprendere meglio se stessa e ad aiutare in questo modo l’uomo a capire sé e a diventare sempre più quello che deve essere: l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità».
tratto da https://it.aleteia.org/2018/09/05/ratzinger-no-al-creazionismo-evoluzione-conquista-scienza/
Unione Cristiani Cattolici Razionali | Set 05, 2018
Il dato creazionistico è insito nella creazione stessa: a parte il dato rivelato nella Genesi, che è molto chiara sia per quanto riguarda la creazione ex nihilo della Terra, delle prime specie animali e dell’uomo stesso – il concetto di creazione “ex nihilo” (dal nulla) anche filosoficamente è fondato: se pure Dio non avesse creato dal nulla ma dalla materia il primo creato, come avrebbe potuto ottenere quella materia se essa non è stata creata una prima volta proprio dal nulla?
Inoltre l’universo non è grande come si pensa, non esistono cioè “altri mondi” da dove prendere eventualmente altri esseri viventi o materia, e la cosmologia diffusa negli antichi era coincidente con la struttura dello stesso universo.
Le enormi differenze bilogiche, funzionali ed estetiche tra le varie specie animali e vegetali non sono spiegabili con un processo di mera evoluzione da un’unica specie animale o vegetale: lo è sia perché ciò implicherebbe la presenza, di fatto, nei primi embrioni di pianta o animale di tutte le caratteristiche poi sviluppatesi nelle varie specie (e questo implicherebbe certamente la creazione – non “l’autocreazione” – da parte di un essere intelligentissimo che poi avrebbe previsto di fatto, in uno spazio infinitesimale, dell’evoluzione di tutto il complesso creato attuale – il che farebbe “rientrare dalla finestra” l’ipotesi – Dio – di un essere ingelligentissimo che governa l’universo, eliminando la tesi di fondo dell’evoluzionismo, cioè che sia “il caso” (la natura, omettendo la sua nascita) a governare meccanicamente essa stessa, fatto appunto che ho appena smentito utilizzando lo stesso paradigma evoluzionistico.
Dunque, il creazionismo è un dato di fatto, e la conferma è presente sia nelle varie caratteristiche della natura sia nel “codice genetico” da cui deriva ogni specie: sembra, per esempio da recenti studio genetici, che la stessa nascita dell’uomo da un solo seme maschile e da un solo embrione femminile siano inscritti nello stesso Dna, dove ci sarebbe traccia ad esempio di un'”Eva mitocondriale” – una parte dell’embrione – che si tramanda di ovulo in ovulo (fa parte cioè del codice genetico dell’ovulo femminile) – e dunque mantiene “traccia biologica” della vicenda storica da cui è tratta. Il problema dell’intervento esterno – altro tema sottinteso o implicito – è invece rovesciato: poiché si tende a negare che l'”intervento esterno” primigenio sia stato quello di Dio, che invece ha creato l’universo, le prime specie di piante e animali e la prima coppia proprio come descritto nella Bibbia e probabilmente non in una mera successione storica (sembra, per esempio, che la creazione dell’uomo non sia stata all’inizio della creazione, ma successiva – si parla di 250-200.000 anni fa), esso invece è da attribuire ad altre entità, che probabilmente hanno attinto anche alla possibilità di creare o co-creare almeno altre “razze” umane: per i credenti – ma sembra un dato storico, almeno l’evento del Diluvio – è dato di fede sapere che, dopo il diluvio universale, solo le specie animali, vegetali e le persone presenti nell’Arca di Noè siano sopravvissute al diluvio, e questo è attestato in epoca storica intorno al 12.000 a.C.: come si spiega invece, successivamente e fino a noi, la presenze di “razze” o sembianti umani molto diversi tra loro – dai neri africani ai genomi asiatici – ben diversi dalle caratteristiche somatiche dei semiti che abitano attualmente il Medio Oriente e del quale aspetto sarebbero stati Noé e i suoi discendenti? Ciò è spiegabile con la possibilità – che escludo sia di intervento divino – della possibilità di una “manipolazione genetica” di qualcuno che non è evidentemente Dio che abbia permesso di creare razze e sembianti umani differenti almeno nell’aspetto (non lo sono nella fisiologia e nell’anima, che invece è determinata dal condizionamento ambientale e meramente culturale). Di questo è traccia nella storia antica delle varie civilià e in dati per esempio abbastanza sconcertanti (com’è possibile ad esempio che un popolo poco numeroso – sono meno di 8 milioni – come gli abitanti della Papua Nuova Guinea parlino 850 lingue, concentrando in poco spazio e inspiegabilmente quasi il 10% delle lingue parlate nel mondo? Sappiamo dalla Rivelazione che la “confusione delle lingue” fu successiva alla caduta per volontà divina della Torre di Babele, ma questo implica che questa differenza, che non è spiegabile per tramite anche in questo caso di un “evoluzione linguistica”, permette anzi invochi l’utilizzo di paradigmi interpretativi non solo e per niente “graduali”. Allo stesso modo, gemello del paradigma evoluzionistico è quello eliocentrico, fatto anche questo che è smentito dai dati di realtà. Ora, toccare questi paradigmi,su cui si è formata la società occidentale moderna-contemporanea, significa “far rientrare dalla finestra” ciò che con forza, per differenziarsi, si è voluto far uscire dalla porta: dunque secondo me è del tutto inutile ad esempio dimostrare, in Occidente, che la Terra è piatta o che esistono “gli alieni”: si è voluto costruire una società massonico-razionalista in cui la razionalità è di fatto autoreferenziale e appartiene al complesso culturale che soggiace all’Europa moderna dal Trecento in poi. Ci sono invece altre società che, per esempio, accettano come “naturale” e anche storico la presenza di eventi che non rientrano nella normale dialettica storico-materialistica: evidentemente con queste società, che possono o vorrebbero aver accolto il dato creazionistico, si può impostare un discorso di disvelamento che non le danneggi ma che costituisca un arricchimento o una “liberazione” del proprio punto di vista sul mondo.
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