LETTERA DEL PAPA SUGLI ABUSI. MA NON VEDE L’ELEFANTE NELLA SACRESTIA. O NON NE PARLA. PERCHÉ?

“Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”: una citazione della lettera di San Paolo ai Corinzi apre la lettera nella quale il Papa, invita il “popolo di Dio” al digiuno e alla preghiera per il “crimine” degli abusi sessuali sui minori nella Chiesa: con “vergogna e pentimento, scrive Jorge Mario Bergoglio, come Chiesa ammettiamo “che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite”, “abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli”. Non solo: il lamento delle vittime “per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere”. Il Pontefice regnante afferma che “dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo” e sottolinea che “l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio”.

Potete leggerla qui. 

È sicuramente una lettera ad effetto, in puro stile ecclesiastico e pontificio. E certamente come tale verrà letta e apprezzata dai media e dal grande pubblico. In particolare l’accenno critico al clericalismo, che è sempre un bersaglio facile è apprezzato. Ma il suo effetto può essere mistificante.

Un sacerdote cattolico, convertito dall’anglicanesimo, sui social la rassume così: 1)Mette molta enfasi sulla cura delle vittime; 2)Sparge il biasimo su “tutti noi”; Glissa su enormi crimini episcopali; 4) Non menziona mai l’omosessualità.

Ora, nel giugno del 2002 Mary Eberstadt scrisse un articolo che si intitolava “L’elefante in sacrestia”. Si parlava in esso di un sacerdote, Rudolph Kos, un molestatore seriale

Scriveva: “La ragione per cui i vescovi dovrebbero tenere particolarmente conto di Kos è che è tipico di molti altri preti-criminali che popolano i titoli di questi giorni. Per suo conto, Kos è stato lui stesso abusato da bambino. Da adolescente, ha molestato o tentato di molestare altri ragazzi più giovani. Con l’aiuto di alcuni sacerdoti-mentori che erano a conoscenza della sua storia personale e apparentemente indifferenti ad essa, Kos allora gravitava sul sacerdozio – in particolare, in un seminario del Texas dove l’omosessualità era apparentemente fuori dal coro. Uno dei suoi insegnanti sarebbe diventato uno scrittore gay famoso. Paul Shanley – il più famoso pedofilo tra i membri del clero di Boston – era un docente ospite sull’omosessualità lì. Come sacerdote, oltre ad abusare di ragazzi da adolescenti fino a 9 anni, Kos era anche (come in seguito si descrisse) un “omosessuale”. In effetti, i documenti del tribunale mostrano che un compagno sacerdote si è lamentato una volta in una lettera dei “ragazzi e giovani che si trattengono da un giorno all’altro [Kos]”.

“Ciò che anche questa breve recitazione chiarisce è un insieme di fatti troppo enormi da ignorare, sebbene molti lavorino potentemente per distogliere lo sguardo. Chiamalo l’elefante in sacrestia. Un fatto è che l’autore del reato è stato molestato da bambino o da adolescente. Un altro è che alcuni seminari sembrano aver avuto più futuri molestatori tra i loro studenti rispetto ad altri. Un terzo fatto è che questa crisi che coinvolge minori – questo ininterrotto orrore istituzionalizzato – riguarda quasi interamente il sesso uomo-ragazzo. Non vi è alcun focolaio di molestie eterosessuali nella chiesa americana. Nelle parole del defunto reverendo Michael Peterson, che ha co-fondato il noto istituto St. Luke che trattava il clero, ‘Non vediamo affatto pedofili eterosessuali’. In altre parole, sarebbe profondamente fuorviante raccontare la storia di Rudolph Kos – quello che era e ciò che ha fatto – senza fare riferimento alle parole ‘omosessuale’ e ‘gay'”.

Questo è il link all’articolo.

Il direttore della rivista che l’ha ripubblicato scrive: “Non è un segreto, o clericalismo, dice Mary Eberstatd. ‘ il problema reale di fronte alla Chiesa cattolica è che troppi ragazzi sono stati sedotti o forzati ad atti omosessuali da certi preti”.

E d’altronde c’è chi nell’episcopato USA, come il vescovo Morlino di Madison che ha parlato di una “sottocultura omosessuale” devastante per la Chiesa americana. E non solo per quella americana: chiunque parli con persone che sono state in ordini religiosi o seminari, anche in Italia, udrà racconti simili.

Allora, la vera domanda è: perché il Pontefice non riesce a vedere l’elefante nella sacrestia, e come lui non la vedono quelli della sua cerchia? Ho in mente un editoriale di Avvenire sulla tragedia americana, in cui la parola omosessualità non viene neanche citata; così come non è citata nella lettera che il cardinale di Chicago Blaise Cupich, pupillo di McCarrick ha indirizzato alla diocesi, e potrei fare molti altri esempi, oltre a quello del gesuita attivista LGBT James Martin. Perché? Purtroppo non c’è una risposta, e quelle che vengono in mente sono una peggio dell’altra. Anche considerando chi lo consiglia, e chi sceglie.

Mfulmarco Tosatti

da Stilum Curiae

3 pensieri su “LETTERA DEL PAPA SUGLI ABUSI. MA NON VEDE L’ELEFANTE NELLA SACRESTIA. O NON NE PARLA. PERCHÉ?

  1. La vita religiosa richiede molta ascesi ed equilibrio, che si imparano o in famiglia oppure strada facendo nella vita relazionale. Gli ambienti religiosi liberano in parte l’affettività, almeno nel periodo post-conciliare (è probabile che questa sia la radice e in parte lo sdoganamento di natura teologica potremmo dire), liberando così le “cupiditates” che invece sono oggetto di forte ascesi (si pensi a casi simili presenti tra i monaci delle Tebaide, e quanto fosse assillante all’epoca il problema della presenza di monaci molto giovani).
    Solo una forte proiezione sul divino, i voti ecclesiastici, che sono un donp della Grazia divina, la preghiera, la pratica della “terzietà” (tra me e te c’è la consacrazione, almeno negli ambienti ecclesiastici) può risolvere il problema: non sono consentiti, com’è ovvio, rapporti che non siano altro che quelli di pura amicizia, spirituale evidentente. L’abitudine aiuta a solidificare una pratica, ma è evidente che ci sia più di un fraintendimento, circa soprattutto la gestione dell’affettività (ieri si diceva qui del conflitto tra benevolenza e dogma portato avanti dal card. Newman).

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  2. È probabile per esempio che la persistenza di comportamenti scorretti sia dovuta a una “non decisione” circa il proprio percorso da fare all’interno della Chiesa, e il mantenimento di comportamenti scorretti in un contesto di formazione ecclesiastica conferma e mantiene “calda” potremmo dire la propria “insicurezza” circa la scelta da maturare (è evidente per esempio che c’è qualcuno che non lo fa, perché?).
    Non so che cosa succederebbe se, ad esempio, all’ingresso di seminario o di monaatero venisse richiesto dopo un po’ di tempo il pronuniciamento di un primo voto di castità (si ricordi che in antichità – agli albori del movimento benedettino, che ha regolamentato soprattutto la convivenza di tipo cenobitico – e ancora in alcune congregazioni come i certosini, formazione stabilità e vita monastica coincidono da subito: i voti finali stabiliscono semplicemente il compimento del periodo di formazione come richiesto dagli Statuti.

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  3. Per quanto riguarda abusi e ruolo del sacerdote, bisognerebbe distinguere tra situazione e luogo, Paese e contesto: la formazione di un sacerdote ad esempio è uguale quella negli Stati Uniti e quella in Siria? Perché? Chi sceglie il sacerdozio a Washington o in Europa è simile a chi può sceglierlo in un Paese con una forte presenza islamica o in un Paese cosiddetto in via di sviluppo? Il candidato è mosso da esigenze culturali, personali-affettive o relazionali? Segue figure di riferimento particolari? Che cosa si aspetta alla fine del percorso formativo? Pensa di incardinarsi nella diocesi in cui si è già formato? Quali sono i suoi rapporti con la comunità di provemienza? Quale apporto pensa di dare alla stessa?
    Il mantenimento di situazioni fortemente imbarazzanti in materia di omosessualità, a livello formativo e/o di opinione pubblica, serve forse, a maggior ragione se si tratta di alti collaboratori del Pontefice (mi riferisco all’articolo di A. M. Valli) a confermare i “rumors” sull’affidabilità della Chiesa Cattolica, o possono addirittura essere considerati come un voluto a questo punto sabotaggio, ad uso e consumo di campagne scandalistiche, avallate e prolungate da decisioni non prese in tal senso? E l’avallo alla cultura Lgbt, molto forte in ambiente anglosassone e protestante europeo, non è forse un altro motivo per rendere praticabile e addirittura desiderabile la pratica della cultura omosessuale anche in ambienti ecclesiastici?

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