Abbiamo Il Dovere Di Resistere!
Eccellenza, lei ha firmato, insieme al professor Josef Seifert (e molti altri), l’ Appello Filiale che conferma l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul matrimonio. Il professor Seifert è stato ora rimosso dal suo arcivescovo spagnolo dalla sua cattedra Dietrich von Hildebrand all’Accademia Internazionale di Filosofia di Granada, Spagna – con l’esplicito riferimento avverso alla sua critica di alcune affermazioni contenute in Amoris Laetitia. Possiamo chiederle il suo parere in merito a una misura così punitiva, giustificata dall’argomentazione che il professor Seifert stava sconvolgendo l’unità della Chiesa cattolica e confondendo i fedeli?
Il professor Seifert ha compiuto un atto urgente e meritorio nel formulare pubblicamente domande critiche ma rispettose su alcune affermazioni evidentemente ambigue nel documento papale Amoris Laetitia, considerando che queste affermazioni stanno causando un’anarchia morale e disciplinare nella vita della Chiesa, un’anarchia che è sotto gli occhi di tutti, nessuno che ancora usi la propria ragione e abbia una vera fede e onestà lo può negare. La misura punitiva contro il professor Seifert da parte di un rappresentante ecclesiastico non è solo ingiusta, ma mostra in definitiva una fuga dalla verità, il rifiuto di un dibattito oggettivo e di un dialogo, mentre contemporaneamente la cultura del dialogo viene proclamata come un importante priorità nella vita della Chiesa dei nostri giorni.
Un tale comportamento di un organo della chiesa contro un vero intellettuale cattolico, come il professor Seifert, mi ricorda le parole con cui San Basilio Magno descrive una situazione analoga nel IV° secolo, quando i teologi ariani invasero e occuparono la maggioranza delle cariche episcopali: “Solo un reato è ora punito vigorosamente: un accurato rispetto delle tradizioni dei nostri padri. Per questo motivo i fedeli sono guidati fuori dai loro paesi e trasportati in deserti. I religiosi mantengono il silenzio, ma ogni lingua blasfema viene sciolta” (Ep. 243).
Quando parliamo dell’unità della Chiesa: quale è la base di questa unità?
Dobbiamo sacrificare tutto il dibattito motivato e prudente su questioni di fede e dottrina – se ci sono insegnamenti diversi e non consoni – per non causare una possibile frattura all’interno della Chiesa?
La base dell’unità autentica della Chiesa è la verità. La Chiesa è per sua stessa natura “il pilastro e la fondazione della verità” (1 Timoteo 3: 15). Questo principio è valido fin dal tempo degli Apostoli ed è un criterio oggettivo per questa unità: significa “la verità del Vangelo” (cfr Gal 2: 5.14).
Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: “Oltre l’unità nell’amore, l’unità della verità è sempre urgente per noi” (indirizzo della Terza Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano , Puebla, 28 gennaio 1979).
Sant’Ireneo insegnò: “la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede…, conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un’unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca” (Adv. haer., I, 10, 2).
All’inizio della Chiesa Dio ci ha mostrato l’obbligo di difendere la verità, quando è in pericolo di essere deformata per conto di qualsiasi membro della Chiesa, anche se questo dovrà essere pronunciato a nome del supremo pastore della Chiesa, come era il caso di san Pietro ad Antiochia (cfr Gal 2:14). Questo principio di correzione fraterna all’interno della Chiesa è stato valido in ogni momento, anche verso il papa, e quindi dovrebbe essere valido anche nei nostri tempi. Purtroppo, chiunque in questo periodo osa parlare con verità – anche quando lo fa con rispetto ai pastori della Chiesa – è classificato come un nemico dell’unità, come accadde a San Paolo; infatti egli fu costretto a dichiarare: “Son io dunque divenuto vostro nemico dicendovi la verità?” (Gal 4,16).
Molti prelati adesso e nel recente passato, sono rimasti in silenzio per paura di causare uno scisma nella Chiesa quando chiedono pubblicamente o sollevano obiezioni verso Papa Francesco per quanto riguarda il suo insegnamento sul matrimonio. Cosa direbbe loro su questa scelta del silenzio?
Prima di tutto, dobbiamo tener presente che il papa è il primo servitore della Chiesa (servus servorum). Egli è il primo che deve ubbidire in modo esemplare a tutte le verità del magistero immutato e costante, perché è solo un amministratore e non il padrone delle verità cattoliche, che ha ricevuto da tutti i suoi predecessori. Un Papa non deve mai comportarsi verso le verità e la discipline trasmesse costantemente facendo riferimento a queste come se fosse un monarca assoluto, dicendo “Io sono la Chiesa” (analogamente al re francese Luigi XIV°: “L’état c’est moi” Lo stato sono io [ndr]).
Papa Benedetto XVI° ha formulato la questione in modo appropriato: “Il Papa non è un monarca assoluto i cui pensieri e desideri sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è una garanzia di obbedienza a Cristo e alla sua Parola. Non deve proclamare le proprie idee, ma impegnare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza alla Parola di Dio, di fronte a ogni tentativo di adattarla o di abbatterla e di ogni forma di opportunismo” (Omelia del 7 maggio 2005). I vescovi non sono dipendenti del Papa, ma divinamente costituiti come colleghi del Papa, anche se giuridicamente subordinati a lui, ma ancora colleghi e fratelli.
Quando il Papa stesso tollerasse un’ampia diffusione di evidenti errori di fede e di gravi abusi dei sacramenti (come l’ammissione di adulteri non pentiti ai sacramenti), i vescovi non dovrebbero comportarsi come impiegati servitori che si rinchiudono nel silenzio. Un tale atteggiamento infatti dimostrerebbe l’indifferenza verso la grande responsabilità del ministero Petrino e contraddirebbe la natura molto collegiale dell’episcopato e l’autentico amore per il Successore di Pietro. Bisogna ricordare le parole di Sant’Ilario di Poitiers, che predicava al tempo della confusione dottrinale generale del IV° secolo: “Oggi, con il pretesto di una pietà falsa, sotto l’apparenza ingannevole di una predicazione del Vangelo, alcune persone stanno cercando di negare il Signore Gesù. Io parlo con verità, per cui la causa della confusione che soffriamo può essere conosciuta a tutti. Non posso stare in silenzio” (Contra Auxentium, 1, 4).
Torniamo alla critica accurata su Amoris Laetitia del professor Seifert. Nel suo nuovo articolo dell’Agosto 2017, egli esamina la questione sull’affermazione che le coppie talvolta divorziate e “risposate” potrebbero dover mantenere relazioni sessuali di quel nuovo legame per i figli, in realtà non conduce alla conclusione che non esistono più questioni morali assolute; vale a dire che molti in peccato mortale potrebbero, in certe situazioni, risultare non più peccaminosi agli occhi di Dio. Il professor Seifert vede questa logica potenzialmente una “bomba atomica morale” che porterà al relativismo morale. Si ritiene d’accordo con lui in questo?
Sono completamente d’accordo con il professor Seifert su questo punto, e raccomando caldamente agli altri di leggere anche il suo articolo sul magistero intitolato “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa cattolica?”.
Nel 1973, nel suo libro “Atanasio e la Chiesa dei nostri giorni”, il vescovo Rudolf Graber di Regensburg scrisse: “Ciò che è accaduto oltre 1600 anni fa si ripete oggi, ma con due o tre differenze: l’Alessandria è oggi la Chiesa universale, la stabilità da cui viene scossa e ciò che è stato intrapreso in quel momento tramite forza fisica e crudeltà viene oggi ripetuto in un modo diverso. L’esilio è sostituito dall’ordine del silenzio, dall’essere ignorati, uccidendo così per soppressione del sentimento.” Questa descrizione è applicabile anche al caso attuale del professor Seifert.
Per lei che è cresciuto in un paese totalitario, quali sono le considerazioni sulla libertà accademica in Spagna, dal momento che un professore di fama internazionale può essere rimosso dalle sue posizione professionale semplicemente per aver sollevato domande, solo cortesi domande, riguardanti un documento papale e per aver indicato i possibili pericoli di alcune delle affermazioni in esso contenute?
Da decenni si è introdotto all’interno della Chiesa il concetto del “politicamente corretto” e delle “buone maniere” per proclamare e promuovere praticamente la libertà del discorso teologico, del dibattito e della ricerca, in modo che la libertà nel pensiero e nel parlare divenisse uno slogan.
Allo stesso tempo, si può ora osservare il paradosso che questa stessa libertà è negata a quelli della Chiesa che oggi alzano le loro voci con rispetto e cortesia in difesa della verità. Questa bizzarra situazione mi ricorda una canzone famosa che ho dovuto cantare nella scuola comunista nella mia infanzia e che diceva pressappoco così: “L’Unione Sovietica è la mia amata patria, e non conosco un altro paese nel mondo dove l’uomo possa respirare così liberamente”.
Può riferirci qualche frase che il cardinale Carlo Caffarra ha espresso a lei personalmente rispetto alla nostra attuale crisi della Chiesa, le sue parole potrebbero costituire, in parte, una sorta di eredità?
Ho parlato solo due volte con il cardinale Caffarra. Eppure quei brevi incontri e conversazioni con Caffarra hanno lasciato in me alcune impressioni profonde. Ho visto in lui un vero uomo di Dio, uomo di fede, di visione soprannaturale. Ho notato in lui un profondo amore per la verità. Quando ho parlato con lui sulla necessità dei vescovi di sollevare le loro voci in vista del diffuso attacco contro l’indissolubilità del matrimonio e della santità dei legami sacramentali del matrimonio, ha affermato: “Quando noi vescovi faremo questo, non dobbiamo temere niente e nessuno, perché non abbiamo nulla da perdere.” Una volta ho ripetuto a una donna cattolica profondamente credente e altamente intelligente degli Stati Uniti la frase usata dal cardinale Caffarra, cioè che noi vescovi non abbiamo nulla da perdere quando parliamo con verità. Questa si rispose che queste parole per me indimenticabili: “Invece perderai tutto quando non farai questo”.
Considera giusto che altri cardinali – come il cardinale Christoph Schönborn o il cardinale Óscar Rodrígez Maradiaga – abbiano rimproverato i quattro cardinali per pubblicato i dubia?
La formulazione e la pubblicazione dei dubia a nome dei quattro Cardinali e stato un atto meritorio e, in qualche modo, anche un atto storico, che fa veramente onore al Sacro Collegio dei Cardinali. Nella situazione attuale, l’indissolubilità e la santità del matrimonio sacramentale sono minate e, in pratica, vengono negate per l’ambiguità normativa sull’acceso degli adulteri non pentiti ai sacramenti, banalizzando e profanando così anche i sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. In gioco c’è in ultima analisi la validità dei Comandamenti Divini e dell’intera legge morale, come ha giustamente affermato il professor Seifert nel suo articolo sopra citato e per il quale è stato gravemente punito.
Possiamo confrontare questa situazione con una nave in un mare tempestoso, in cui il capitano ignora i pericoli evidenti, mentre la maggior parte dei suoi ufficiali si rifugia nel silenzio dicendo: “Tutto va benissimo sulla nave che affonda”. Quando in una situazione del genere una piccola parte degli ufficiali della nave alza la propria voce per la sicurezza di tutti i passeggeri, sono grottescamente e ingiustamente criticati dai loro colleghi come ammutinatori o come guastafeste. Anche se il capitano ignora le voci dei pochi ufficiali nel momento di pericolo, riconoscerà con gratitudine il loro aiuto più tardi, quando dovrà affrontare il pericolo, guardandolo in faccia e quando apparirà davanti al Divino Giudice.
E così gli saranno anche grati, sia i passeggeri che la storia, quando il pericolo sarà passato. L’atto coraggioso e i nomi di quei pochi ufficiali saranno ricordati come veramente altruisti ed eroici; ma certamente non quegli ufficiali che, per ignoranza, o per opportunismo o per servilismo, si sono ammantati di silenzio o addirittura hanno assurdamente criticato coloro che con la loro azione hanno salvato quella nave dall’essere affondata. Ciò corrisponde in qualche modo alla situazione attuale attorno ai dubia dei Quattro Cardinali. Bisogna ricordarsi quello che San Basilio ha osservato durante la crisi ariana: “Gli uomini in autorità hanno paura di parlare, poiché quelli che hanno raggiunto il potere per interesse umano sono gli schiavi di coloro ai quali devono il loro avanzare.
E ora la vera rivendicazione dell’ortodossia è considerata in alcuni quartieri come un’opportunità per un attacco reciproco; gli uomini nascondono la loro cattiva volontà privata e fingono che la loro ostilità sia tutta per amore della verità. Tutti loro, mentre i non credenti ridono; uomini di debole fede sono scossi; la fede è incerta; le anime sono iniziate all’ignoranza, perché gli adulteratori della parola imitano la verità. I migliori tra i laici escono dalle chiese come da istituti di pena e sollevano le mani nei deserti con sospiri e lacrime al loro Signore in cielo. La fede che abbiamo ricevuto dai Padri; quella fede che conosciamo è impressa nei segni degli Apostoli; a quella fede ci rifacciamo, oltre a tutto quello che in passato fu promulgato canonicamente e legittimamente” (Ep. 92, 2).
Ora che sono rimasti solo due cardinali dei dubia – dopo la morte dei cardinali Joachim Meisner e Carlo Caffarra, quali sono le sue speranze nei confronti di altri cardinali che potrebbero ora entrare per colmare il vuoto?
Spero e desidero che più cardinali, come gli ufficiali di quella nave in un mare in tempesta, adesso uniscano le loro voci alle voci dei Quattro Cardinali, indipendentemente dal loro encomio o biasimo.
In generale, adesso cosa faranno quei cattolici, laici o chierici, se vengono costretti ad accettare alcuni aspetti controversi di Amoris Laetitia, ad esempio per quanto riguarda i divorziati “risosati” e il loro possibile accesso ai sacramenti?
E a quei sacerdoti che rifiutano di dare la Santa Comunione a queste coppie “rimpatriate”?
Che cosa ne sarà dei professori laici cattolici che sono stati minacciati dalla rimozione dalle loro posizioni didattiche a causa della loro critica effettiva o percepita di Amoris Laetitia?
Quando i sacerdoti e laici rimangono fedeli all’insegnamento e alla prassi costante di tutta la Chiesa, sono in comunione con tutti i Papi, i Vescovi ortodossi e i Santi degli oltre due millenni, essendo in una speciale comunione con San Giovanni Battista, San Tommaso Moro, San Giovanni Fisher e con gli innumerevoli coniugi abbandonati che sono rimasti fedeli ai loro voti matrimoniali, accettando una vita di continenza per non offendere Dio.
La voce costante nello stesso senso e nel senso (eodem sensu eademque sententia) e la prassi corrispondente di duemila anni sono più potenti e più sicure della voce discordante e della pratica di ammettere gli adulteri imprevisti alla Santa Comunione, anche se questa usanza è promossa solo da un Papa o dai Vescovi diocesani.
In questo caso dobbiamo seguire l’insegnamento e l’azione costante della Chiesa, perché opera qui la vera tradizione, la “democrazia del defunto”, significa la voce di maggioranza di quelli che ci hanno preceduto.
Sant’Agostino ha risposto alla errata prassi non tradizionalista donatista del ri-battesimo e del riordinamento, affermando che la costante e immutabile azione della Chiesa fin dai tempi degli Apostoli corrisponde al certo giudizio di tutto il mondo: “Il mondo intero giudica giusto”, cioè “Securus judicat orbis terrarum” (ontra Parmenianum III, 24).
Significa che tutta la tradizione cattolica giudica sicuramente e con certezza contro una prassi fabbricata e ambigua che, in un punto importante, contraddice l’intero Magistero di tutti i tempi. Questi sacerdoti, che ora dovessero essere costretti dai loro superiori a dare la Santa Comunione agli adulteri pubblici e non pentiti, o ad altri peccatori notori e pubblici, dovrebbero rispondere con una santa convinzione: “Il nostro comportamento è il comportamento di tutto il mondo cattolico per due mille anni, che tutto il mondo giudica giusto”, “Securus judicat orbis terrarum”!
Il Benedetto John Henry Newman ha detto in Apologia Pro Vita Sua: “Il giudizio deliberato, in cui tutta la Chiesa rimane a lungo e si accetta, è una prescrizione infallibile e una sentenza definitiva contro ogni novità temporale”. In questo nostro contesto storico i sacerdoti e i fedeli dovrebbero dire ai loro Superiori ecclesiastici e ai Vescovi, così come dovrebbero dire con amore e rispetto al Papa quello che San Paolo ha detto una volta: “Poiché non possiamo fare nulla contro la verità, ma solo per la verità. Certamente ci rallegriamo ogni volta che noi siamo deboli ma voi potenti; e per questo preghiamo, perché siate ristabiliti.” (2 Cor 13: 8).
+ Athanasius Schneider,
Vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima a Astana, Kazakistan. INTERVISTA RACCOLTA DA MAIKE HICKSON, ONEPETERFIVE
Grazie …resistiamo pregando Mio Dio e mio Signore Salvaci…..
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