È cominciato tutto con i manifesti. Ricordate? Quelli comparsi improvvisamente nella notte tra il 3 e il 4 febbraio a Roma: « A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia? ». Niente più di una pasquinata, ovviamente; ma, col senno di poi, possiamo forse ritenerli un’avvisaglia di ciò che sarebbe accaduto in seguito.
Passano le settimane e scorre un po’ di acqua sotto i ponti.
In marzo, il 14, la Basilica di San Pietro ospita la celebrazione dei vespri anglicani. Un gruppetto di fedeli si riunisce allo sbocco di via della Conciliazione su piazza San Pietro – per chi è pratico dei luoghi: davanti alla libreria Ancora – per recitare un Rosario di riparazione, mentre, come riferiva Stilum Curiae , il blog di Marco Tosatti, anche altrove si tenevano analoghe iniziative. La partecipazione dei fedeli, però, per il momento è piuttosto scarsa.
Circa un mese dopo, in aprile, a Roma, di nuovo a pochi passi da piazza San Pietro, un gruppo di autorevoli studiosi, tutti laici, provenienti dai cinque continenti, si riunisce in un affollato convegno, e fa le pulci ad Amoris Laetitia. Gli interventi sono più che incisivi: i relatori non le mandano a dire. Il convegno non è promosso da nessun istituto, nessuna università, nessun prelato ispiratore; l’iniziativa nasce nel mondo della cultura, ed è espressione di un sentire diffuso tra i fedeli.
Passano altre settimane, e scorre altra acqua sotto i ponti, non solo quelli del Tevere.
In giugno, si tiene a Reggio Emilia un gaypride, cui gli organizzatori attribuiscono un particolare significato: pare che sia destinato a sollecitare l’introduzione del sedicente matrimonio egualitario.
Si costituisce un comitato spontaneo che promuove una processione di riparazione. La faccenda è recente, per cui la diamo per nota. L’aspetto saliente, come è emerso passo dopo passo, è stato la riluttanza della Curia non solo a supportare l’iniziativa, ma anche a condannare il gaypride; una riluttanza che non si giustifica, ahimè, nemmeno in funzione di qualche svarione probabilmente commesso dagli organizzatori nei rapporti con il Vescovo. Il quale Vescovo di Reggio Emilia è un buon Vescovo, uno di quelli che si sforzano di conservare la fede cattolica: avercene! Però quandoque bonus dormitat Homerus, e – al netto di un intervento della alte sfere CEI, che, si vocifera, potrebbe esserci stato… – in questa circostanza, forse, non si è fidato dei fedeli, non ha creduto che l’iniziativa fosse esattamente quella che chiedevano sia la mente, sia il cuore dei buoni cattolici: così le pecorelle, latitando il pastore, si sono organizzate in proprio, e il pastore, alla fine, in qualche modo ha dovuto rincorrerle.
E di gente da rincorrere, questa volta, ce n’era parecchia. Non solo a Reggio Emilia, come hanno dimostrato i filmati prontamente caricati suyoutube (ne trovate alcuniqui e qui), ma un po’ dappertutto, considerato quali e quante adesioni dirette o indirette ha avuto l’iniziativa. Che poi la cosa corrispondesse ad un sentimento comune, lo si è visto nelle settimane successive, quando iniziative analoghe si sono svolte in molte altre città sedi di gaypride: persino a Milano, pochi giorni fa.
E così, finalmente, arriviamo ad oggi, all’attualità.
La vicenda che in questi giorni ci commuove, ci turba, ci coinvolge, ci indigna e, soprattutto, ci avvinghia al Rosario, è la vicenda del piccolo Charlie Gard e dei suoi coraggiosi genitori. Una vicenda drammatica e di cruciale importanza: tanto che mi sento davvero in imbarazzo, anzi quasi in colpa, a trattarla come un episodio fra gli altri, e a parlarne nel tono un po’ scanzonato che sto dando a queste righe.
Ma confido che vorrete perdonarmene. E che riserverete il vostro disappunto all’ineffabile comunicato con cui, quando la risonanza del caso lo ha reso inevitabile, la Pontificia Accademia per la Vita ha detto la sua. Un testo imbarazzante: roba che echeggiava l’indimenticabile “né con lo Stato, né con le BR” degli anni di piombo. Solo che in questo caso per non prendere posizione e per non stare con nessuno non si stava nemmeno con la famiglia Gard. Di più: ci si nascondeva addirittura dietro la foglia di fico dell’accanimento terapeutico. Confesso che non ho potuto non pensare ad Ap, 3, 15-16: « Scio opera tua, quia neque frigidus es neque calidus. Utinam frigidus esses aut calidus! Sic quia tepidus es et nec calidus nec frigidus, incipiam te evomere ex ore meo » (Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca).
Dopo di che, silenzio assoluto. Anche – soprattutto – dalle parti di Santa Marta.
Ebbene: a questo punto il popolo fedele ha iniziato ad agitarsi. In primo luogo sul piano spirituale: Rosari, digiuni, preghiere pubbliche e private, sante Messe. Poi, però, e con inatteso coraggio, ha preso l’iniziativa anche su un piano che potremmo definire pedagogico: ha provato ad insegnare ai pastori – a tutti, ma proprio tutti, di ogni ordine e grado, nessuno escluso… – a fare il loro mestiere. Anche alzando la cornetta del telefono, come risulta ormai accertato. Certo, oltre l’Arco delle Campane ci si imbatteva in una resistente, quasi ostinata, riluttanza, che all’inizio è stata solo un pochino scalfita da un tweet. Ma al popolo fedele il cinguettio non è bastato. E alla fine ha ottenuto ciò che gli viene spesso predicato: l’abbattimento di un muro – in questo caso, il muro del politicamente corretto, dietro al quale si gode la comodità dei discorsi che piacciono alla gente che piace– e la costruzione di un ponte – in questo caso, un ponte verso Charlie Gard e la sua famiglia. Ed ora possiamo pregare intensamente che questo ponte, gettato dall’insistenza del popolo nonostante la renitenza dei potenti (che la stampa amica si è subito affannata a presentare come i capofila della reazione popolare: un bel ribaltamento delle cose…), possa riconsegnare il piccolo Charlie alla cura amorevole dei suoi genitori. Un vero miracolo, come ha detto brillantemente su Campari & de Maistre Paolo Spaziani .
Sin qui i fatti – raccontati, s’intende, secondo il punto di vista di chi scrive.
Ed ora, rigorosamente separato dai primi, nella miglior tradizione britannica (quanto mai appropriata alla bisogna), qualche commento.
Il primo: appare sempre più evidente che la popolarità mediatica – al netto di quanto possa essere pompata da giornali e televisioni per ragioni di propaganda – non corrisponde necessariamente, anzi non corrisponde affatto, al sentire del e con il popolo cattolico. Se il perbenismo, che non è una peculiarità dei tempi correnti perché è sempre in auge, in qualunque epoca e in qualunque contesto, oggi gli impone di dirsi preoccupato per il riscaldamento globale e pensoso della custodia del creato, il popolo fedele, messo alla prova, dimostra di sapere bene che cosa è davvero importante, e quale alimento si attende e ha diritto di pretendere dai suoi pastori; e i pastori, messi anch’essi alla prova, possono constatare che la loro agenda non è quella del gregge, nemmeno quando tentano di accattivarselo con lo zucchero della misericordia senza conversione.
Il secondo: non occorre avere atteggiamenti insurrezionalistici per farsi sentire. Se il popolo cattolico manifesta con serena coerenza la sua fede, i pastori sono costretti a rincorrerlo. Da questo punto di vista, ciò che è avvenuto nelle scorse settimane dimostra che egli uomini di chiesa (attenzione: non mi riferisco a nessuno in particolare, sto parlando di un atteggiamento mentale ormai dilagante) si sono costruiti un sistema di (in)governo ecclesiale che appare autoreferenziale, ma che, in realtà, assume come riferimento i sistemi del potere dominante, adeguandosi ai suoi temi, ai suoi (dis)valori ed ai suoi criteri di azione, e che considera il popolo fedele un popolo di sudditi. Mi viene in mente quel passaggio di Evangelii Gaudium in cui leggiamo che il pastore « in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade ». È proprio così: con la non irrilevante differenza che, talora, a rimanere indietro non sono i fedeli, ma certi pastori; e che il fiuto del popolo non serve solo ad aprire nuove strade, ma a rimettere in rotta quelli che, alla ricerca di chissà quali scorciatoie, hanno deciso di deviare dalla via maestra.
Infine, l’osservazione principale, che ispira il titolo di queste righe.
Da mesi è all’ordine del giorno il tema della correzione formale dei contenuti ambigui di Amoris Laetitia. Recentissimamente, un brillante commentatore ha invitato i Cardinali dei dubia a far presto, e credo che l’esortazione sia condivisa anche da larga parte del popolo di Charlie. Personalmente, mi fido, e molto, della saggezza dei quattro* Cardinali, e confido che sapranno decidere al meglio se e come approfittare – per dir così – della contingenza presente. Però la correzione è già iniziata, e non si è limita ai problemi di Amoris Laetitia. È iniziata in sordina, come dicevo, partendo da una sostanzialmente innocua pasquinata, e crescendo di giorno in giorno fino a diventare palese, concreta, diffusa, pervasiva; fino a toccare non solo e non tanto il piano nobilissimo della dottrina e della fedeltà al deposito della fede, ma proprio il piano scelto dai vertici per realizzare il loro programma: il piano della prassi, dell’azione concreta, dei gesti simbolici.
Una correzione non solo e non tanto formale, ma molto, molto più potente ed incisiva: una correzione popolare. E vi confesso che in questo vedo come una risposta alle preghiere dei tanti che, da mesi e mesi, stanno invocando con fede l’Auxiliatrix Christianorum.
di Enrico Roccagiachini
fonte : Campari & de Maistre