La famiglia Orlandi chiede di riaprire il caso e incontrare il segretario di Stato Parolin per conoscere «in che modo e da chi è stata seguita la vicenda»
Un’istanza di accesso agli atti per poter visionare i documenti conservati dalla segreteria di Stato. Una richiesta di audizione con il segretario Pietro Parolin per conoscere «in che modo e da chi è stata seguita la vicenda». Trentaquattro anni dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, la famiglia fa una mossa che potrebbe portare a risultati clamorosi. Perché per la prima volta nel documento che sarà depositato lunedì mattina presso la Santa Sede, si parla esplicitamente di un «dossier» custodito in Vaticano. La circostanza è emersa nel corso del processo Vatileaks ma è stata finora tenuta riservata. Eppure del carteggio, come si specifica nel ricorso, hanno parlato più fonti arrivando ad elencare la natura di alcuni scritti. L’ultimo mistero di una storia infinita. Per questo Pietro Orlandi, il fratello della quindicenne figlia di un commesso della Casa Pontificia sparita il 22 giugno 1983 che non ha mai smesso di cercare la verità, ha deciso di rivolgersi allo studio dell’avvocato Annamaria Bernardini de Pace: a seguire la pratica sarà l’esperta rotale Laura Sgró. È il cambio di passo per rompere quel silenzio che dura da anni e coinvolge inevitabilmente le gerarchie della Chiesa. La strategia nuova che può portare a sviluppi inaspettati.
Le carte trafugate
Si torna dunque al 2012 quando i «corvi» del Vaticano rubano numerosi dossier riservati che diventano materiale di libri e articoli di giornali. L’indagine condotta dalla gendarmeria porta in carcere Paolo Gabriele, maggiordomo di papa Ratzinger, accusato di essere la «fonte». Non è l’unico, l’inchiesta fa emergere l’esistenza di un gruppo di persone che ha trafugato carte segrete o quantomeno è a conoscenza del loro contenuto. Gabriele però paga per tutti. Viene condannato e poi graziato. Quando il pontefice Benedetto XVI decide di dimettersi, le indiscrezioni accreditano la possibilità che ci siano altri dossier mai rivelati. Nel 2015 in manette finiscono monsignor Balda e Francesca Chaouqui, accusati di aver consegnato ai giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi altri documenti che riguardano il settore finanziario della Santa Sede. Ma non solo. È un nuovo scandalo che scuote il Vaticano perché ad essere resi pubblici sono i documenti della Cosea, organismo voluto da papa Francesco con l’obiettivo dichiarato di rendere trasparente la gestione economica. Le verifiche della gendarmeria si concentrano su tutti i fascicoli che potrebbero essere stati trafugati o comunque resi noti al di fuori delle mura leonine. E così si torna a parlare dell’esistenza di un dossier dedicato esclusivamente alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Viene accreditata la possibilità che contenga resoconti di attività inedite almeno fino al 1997. Proprio su questo si è deciso adesso di fare leva per cercare di scoprire chi e perché abbia ostacolato la ricerca della verità.
La segreteria di Stato
Nell’istanza si fa specifico riferimento ad «alcune fonti che riferiscono dell’esistenza presso la segreteria di Stato del dossier con dettagli anche di natura amministrativa dell’attività svolta dalla segreteria di Stato ai fini del ritrovamento». E poi si elencano gli atti già acquisiti dalla procura di Roma anche attraverso le rogatorie presso la Santa Sede. Una in particolare, datata 22 aprile 1994, nella quale veniva ammesso come «tutta la dolorosa vicenda fu seguita a fondo direttamente dalla segreteria di Stato». Ecco perché viene ritenuto fondamentale il colloquio con Parolin. Del resto il cardinale è certamente espressione del nuovo corso, scelto direttamente da papa Francesco per sostituire al vertice della segreteria di Stato Tarcisio Bertone e così dare un segnale di rinnovamento rispetto a una gestione che era stata segnata da numerosi scandali, compreso quello dei conti «privati» aperti presso lo Ior. Finora l’alto prelato ha avuto due colloqui con Pietro Orlandi senza che nulla fosse poi accaduto. Ora c’è però un fatto nuovo, la scoperta di documenti che possono diventare preziosi per comporre un disegno ancora oscuro. Non a caso nell’istanza si cita quel principio del Compendio di dottrina sociale della Chiesa secondo cui «gli uomini sono tenuti in modo particolare a tendere di continuo alla verità, a rispettarla e ad attestarla responsabilmente». Una richiesta che si trasforma in un appello nei confronti del pontefice e delle gerarchie ecclesiastiche affinché diano conforto e giustizia a una famiglia che vive in un incubo infinito.
L’appello di Karol Wojtyla all’Angelus del 3 luglio 1983
Undici giorni dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, la decisione di Giovanni Paolo II di rendere pubblica la sua preoccupazione all’Angelus diede al caso un rilievo planetario: Wojtyla nel suo appello disse di non aver perso «la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso»
Al termine della preghiera mariana dell’“Angelus Domini” (del 4 luglio 1983), il Papa esprime con le seguenti parole la sua partecipazione all’ansia e all’angoscia della famiglia Orlandi per la sorte di Emanuela, scomparsa da molti giorni da casa.
Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa.
Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari, che l’attendono con strazio indicibile. Per tale finalità invito anche voi a pregare.
Agostino Casaroli, il Segretario di Stato contattato dai sequestratori
Attraverso un codice da pronunciare al momento della chiamata al centralino Vaticano, il famoso «158», i rapitori nel luglio 1983 riuscirono a mettersi in contatto con l’allora Segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli, qui con Karol Wojtyla.
Paul Marcinkus, monsignore banchiere al centro degli scandali
Il monsignore americano amante del sigaro e dei liquori, posto alla guida dello Ior da papa Wojtyla nel 1979, fu al centro di scandali finanziari. E’ stato chiamato in causa nel caso Orlandi sia in relazione alla pista della banda della Magliana legata ai soldi della «mala» transitati in Vaticano (secondo la Minardi, Marcinkus andò a trovare Emanuela nella villetta di Torvajanica) sia a quella politica, raccontata ds Marco Fassoni Accetti (Marcinkus oggetto di pressioni da una delle due fazioni ecclesiastiche in lotta tra loro al tempo della Guerra Fredda).
Papa Francesco a Pietro Orlandi: «Tua sorella è in cielo»
Cinque giorni dopo la sua elezione, il 18 marzo 2013, papa Francesco incontrò Pietro Orlandi assieme all’anziana madre all’uscita della chiesetta vaticana di Sant’Anna. «Stringendomi la mano mi ha detto ‘Emanuela sta in cielo’, sono rimasto di ghiaccio», raccontò a caldo il fratello della ragazza scomparsa, che ha poi chiesto di essere ricevuto dal pontefice per chiedere quando e in quali circostanze sua sorella sarebbe morta.
Il giudice Priore: «Io avrei continuato a indagare»
Nelle sue indagini sui misteri d’Italia, ha spesso incrociato il caso Orlandi. Rosario Priore, giudice istruttore dell’inchiesta sulla strage di Ustica e sull’attentato a Wojtyla, ha dichiarato: «Emanuela Orlandi fu fatta sparire per ricattare il pontefice: si pensò di rapire una cittadina vaticana per influire sulla volontà politica del Papa. Io non avrei chiesto l’archiviazione. Avrei continuato a indagare, nel tentativo di trovare qualcuno pronto a confessare.
Da Corriere della Sera, 19 giugno 2017