LA CRISI DELL’INFALLIBILITA’ ” DIO NON E’ MADRE”

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Ratzinger boccia Luciani

Il Papa del sorriso sconfessato dal suo successore sulla cattedra di Pietro

Bocciato a libretto si potrebbe dire. Albino Luciani oggi non passerebbe l’esame di teologia con il professore Joseph Ratzinger, divenuto nel 2005 suo successore sulla cattedra di Pietro. Un’affermazione in particolare provocherebbe l’esito negativo dell’esame. Il 10 settembre 1978, nel suo terzo Angelus (in totale sono solo cinque), Papa Luciani afferma: «Dio è papà; più ancora è madre».

Non furono pochi coloro che, nella Curia romana, si stracciarono le vesti, per usare un’immagine evangelica, ascoltando questa frase di Giovanni Paolo I. Nel primo volume del suo Gesù di Nazaret, di cui a breve si prevede l’uscita del terzo e ultimo tomo sui vangeli dell’infanzia, Ratzinger è inappellabile sulla questione della maternità di Dio: «Madre non è un titolo di Dio, non è un appellativo con cui rivolgersi a Dio. Noi preghiamo – prosegue il Papa – così come Gesù, sullo sfondo della Sacra Scrittura, ci ha insegnato a pregare, non come ci viene in mente o come ci piace. Solo così preghiamo nel modo giusto».

In un altro passaggio Benedetto XVI afferma: «Se nel linguaggio plasmato a partire dalla corporeità dell’uomo l’amore della madre appare inscritto nell’immagine di Dio, è tuttavia anche vero che Dio non viene mai qualificato né invocato come madre, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Madre nella Bibbia è un’immagine ma non un titolo di Dio». E sempre Benedetto XVI precisa: «L’immagine del padre era ed è adatta a esprimere l’alterità tra Creatore e creatura, la sovranità del suo atto creativo. Solo mediante l’esclusione delle divinità-madri l’Antico Testamento poteva portare a maturità la sua immagine di Dio, la pura trascendenza di Dio».

Nel Catechismo della Chiesa cattolica, redatto sotto la supervisione del cardinale Ratzinger ed emanato da Giovanni Paolo II nel 1992, al numero 239 leggiamo: «Chiamando Dio con il nome di Padre, il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori che, in certo qual modo, sono per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, pur essendone l’origine e il modello: nessuno è padre quanto Dio».

Parole inequivocabili sulla questione. Nel libro intervista “Rapporto sulla fede” scritto nel 1985 a quattro mani con Vittorio Messori, l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede affermava: «Il cristianesimo non è nostro, è la Rivelazione di Dio, è un messaggio che ci è stato consegnato e che non abbiamo il diritto di ricostruire a piacimento. Dunque, non siamo autorizzati a trasformare il Padre nostro in una Madre nostra: il simbolismo usato da Gesù è irreversibile, è fondato sulla stessa relazione uomo-Dio che è venuto a rivelarci».

Nel secondo libro intervista scritto da Ratzinger con Peter Seewald, “Dio e il mondo” edito nel 2001, così l’allora cardinale rispondeva a due domande del giornalista bavarese: «Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Credo che sia importante ricordare che per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente in lui. Dobbiamo dire che, se è vero che effettivamente la Bibbia ricorre nell’invocazione delle preghiere all’immagine paterna, non a quella materna, è altrettanto vero che nelle belle metafore di Dio gli attribuisce anche caratteristiche femminili. Quando ad esempio si parla della pietà di Dio, non si ricorre al termine astratto di pietà, appunto, ma a un termine gravido di corporeità, rachamim, il grembo materno di Dio, che simboleggia appunto la pietà. Grazie a questa parola viene visualizzata la maternità di Dio anche nel suo significato spirituale. Tutti i termini simbolici riferiti a Dio concorrono a ricomporre un mosaico grazie al quale la Bibbia mette in chiaro la provenienza da Dio di uomo e donna. Ha creato entrambi. Entrambi sono conseguentemente racchiusi in lui – e tuttavia lui è al di là di entrambi».

di Francesco Grana  22 aprile 2012

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