Benedetto XVI è forse fra le poche personalità ad aver capito profondamente l’ambiguità in cui si dibatte l’islam contemporaneo e la sua fatica nel trovare un posto nella società moderna. Nello stesso tempo egli sta proponendo all’islam una via per costruire la convivenza mondiale e con le religioni basata non sul dialogo religioso, ma culturale e di civiltà, basata sulla razionalità e su una visione dell’uomo e della natura umana che viene prima di qualunque ideologia o religione. Questo puntare al dialogo culturale spiega la sua scelta di assorbire il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso dentro al più grande pontificio consiglio per la cultura.
Mentre il papa chiede all’islam un dialogo basato sulla cultura, sui diritti umani, sul rifiuto della violenza, nello stesso tempo egli chiede all’Occidente di ritornare a una visione della natura umana e della razionalità in cui non si escluda la dimensione religiosa. In questo modo – e forse soltanto così – si potrà evitare un conflitto delle civiltà, trasformandolo invece in un dialogo fra le civiltà.
Il totalitarismo islamico è diverso dal cristianesimo
Per comprendere il pensiero di Benedetto XVI sulla religione islamica, occorre seguirne l’evoluzione. Un documento davvero essenziale si trova nel suo libro scritto insieme a Peter Seewald nel 1996, quando era ancora cardinale, dal titolo “Il sale della terra”.
Alle pagg. 274-278, egli fa alcune considerazioni e mette in luce alcune differenze fra l’islam e la religione cristiana e l’occidente.
Egli mostra anzitutto che nell’islam non c’è un’ortodossia, perché non c’è un’autorità, un magistero dottrinale comune. Questo rende il dialogo difficile: quando dialoghiamo, non dialoghiamo “con l’islam”, ma con dei gruppi.
Ma il punto chiave che egli affronta è quello sulla shari’a. Egli dice:
“Il Corano è una legge religiosa che abbraccia tutto, che regola la totalità della vita politica e sociale e suppone che tutto l’ordinamento della vita sia quello dell’islam. La shari’a plasma una società da cima a fondo. Di conseguenza, l’islam può sfruttare le libertà concesse dalle nostre costituzioni, ma non può porre tra le sue finalità quella di dire: sì, ora siamo anche noi enti di diritto pubblico; ora siamo presenti [nella società] come i cattolici e i protestanti. A questo punto [l’islam] non ha ancora raggiunto pienamente il suo vero scopo, si trova ancora in una fase di alienazione”.
Questa fase si potrà concludere solo con l’islamizzazione totale della società. Quando ad esempio un islamico si trova in un società occidentale, lui può godere o sfruttare alcuni elementi, ma non si identificherà mai con il cittadino non musulmano, perchè non si trova in una società musulmana.
Il cardinale Ratzinger ha visto quindi con chiarezza una difficoltà essenziale del rapporto socio-politico con il mondo musulmano, che viene dalla concezione totalizzante della religione islamica, profondamente diversa dal cristianesimo. Per questo egli insiste nel dire che non dobbiamo cercare di proiettare sull’islam la visione cristiana del rapporto tra politica e religione. Ciò sarebbe difficilissimo: l’islam è una religione totalmente diversa dal cristianesimo e dalla società occidentale e questo non rende facile la convivenza.
In un seminario a porte chiuse, tenuto a Castel Gandolfo l’1 e il 2 settembre 2005, il papa ha insistito e sottolineato la stessa idea: la profonda diversità fra islam e cristianesimo. Stavolta è partito da un punto di vista teologico, tenendo conto della concezione islamica della rivelazione: il Corano “è disceso” su Maometto, non è “ispirato” a Maometto. Per questo il musulmano non si sente in diritto di interpretare il Corano, ma è legato a questo testo emerso in Arabia nel VII secolo. Questo porta alle stesse conclusioni di prima: l’assolutezza del Corano rende molto più difficile il dialogo, perché le possibilità di interpretazione sembrano escluse e comunque molto ridotte.
Come si vede, il suo pensiero da cardinale si prolunga nella sua visione come pontefice, che mette in luce le profonde differenze fra islam e cristianesimo.
Il 24 luglio in Val d’Aosta, subito dopo l’Angelus, ad una domanda se l’islam può essere considerato una religione di pace, risponde: “Io non chiamerei questo in parole generiche, certamente l’islam contiene degli elementi in favore della pace, come contiene altri elementi”. Anche se non in modo esplicito, Benedetto XVI fa comprendere che l’islam soffre di ambiguità verso la violenza, giustificandola in vari casi. E aggiunge: “Dobbiamo sempre cercare di trovare gli elementi migliori”. Un altro chiede allora se gli attacchi dei terroristi possono essere considerati anticristiani. La sua risposta è netta: “No, generalmente l’intenzione sembra essere molto più generale e non precisamente diretta alla cristianità”.
Dialogo fra culture più fruttuoso del dialogo interreligioso
A Colonia, il 20 agosto, papa Benedetto XVI ha il suo primo grande incontro con rappresentanti della comunità musulmana. In un discorso relativamente lungo, egli dice:
“Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza tra le preoccupazioni quella che nasce dalla constatazione del dilagante fenomeno del terrorismo”.
Qui mi piace il fatto che lui coinvolga i musulmani, dicendo loro che abbiamo la stessa preoccupazione. Nel testo italiano, che ho confrontato col tedesco, ho trovato che manca una frase: “So che siete numerosi a rigettare con forza, anche pubblicamente, in particolare qualunque legame tra il terrorismo e la vostra fede, e a condannarlo chiaramente”.
Più avanti dice che “il terrorismo di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele [una parola che ripete tre volte – ndr] che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza”. Poi, di nuovo, viene a coinvolgere il mondo islamico:
“Se insieme riusciremo a estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, fermeremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile e il credente può arrivarci”.
Mi è piaciuta molto la sottolineatura sull’ “estirpare dai cuori il sentimento di rancore”: Benedetto XVI ha capito che una delle cause del terrorismo è questo sentimento di rancore. E più avanti:
“Cari amici, sono profondamente convinto che, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, dobbiamo affermare i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace”. E ancora:
“Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali; la dignità della persona e la difesa dei diritti, che da tale dignità scaturiscono, devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale, di ogni sforzo posto in essere per attuarlo”.
E qui viene una frase essenziale:
“È questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa, ma chiara della coscienza. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie”.
Dunque, prima ancora della religione, c’è la voce della coscienza, e tutti dobbiamo lottare per i valori morali, la dignità della persona, la difesa dei diritti.
Per Benedetto XVI, perciò, il dialogo va basato sulla centralità della persona, che supera sia le contrapposizioni culturali sia le ideologie. E penso che sotto le ideologie si possano comprendere anche le religioni. Questa è una delle idee-forza del papa: essa spiega anche perché ha unito il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e il consiglio per la cultura, sorprendendo tutti. La scelta nasce dalla sua profonda visione, e non è, come si è detto nella stampa, per “far fuori” monsignor Michael Fitzgerald, meritevole di molta riconoscenza. Forse c’è anche questo, ma non è lo scopo.
L’idea essenziale è che il dialogo con l’islam e con le altre religioni non può essere essenzialmente un dialogo teologico o religioso, se non in senso largo di valori morali. Esso deve invece essere un dialogo di culture e di civiltà.
Vale la pena ricordare che già nel lontano 1999 il cardinale Ratzinger ha partecipato a un incontro con il principe Hassan di Giordania, il metropolita Damaskinos di Ginevra, il principe Sadruddin Aga Khan, morto nel 2003, e il gran rabbino di Francia René Samuel Sirat. Musulmani, ebrei e cristiani erano invitati da una fondazione per il dialogo interreligioso e interculturale, a creare un punto di dialogo culturale fra di loro.
Questo passo verso il dialogo culturale è di estrema importanza. In tutti i dialoghi che si fanno con il mondo musulmano, appena si comincia a trattare temi religiosi, si inizia a parlare di palestinesi, Israele, Iraq, Afghanistan, insomma di tutti i conflitti politici o culturali. Con l’islam non si riesce mai a fare un discorso squisitamente teologico: non si può parlare della trinità, dell’incarnazione, ecc. Una volta, a Cordoba nel 1977, si è fatto un convegno sulla nozione di profezia. Dopo aver trattato del carattere profetico di Cristo come visto dai musulmani, un cristiano ha esposto il carattere profetico di Maometto dal punto di vista cristiano e ha osato dire che la Chiesa non lo può riconoscere come profeta; al limite potrebbe definirlo tale ma solo in un senso generico, come si dice che Marx è “il profeta” dei tempi moderni. Risultato: abbiamo dovuto interrompere l’incontro e per tre giorni non si è parlato che di questo.
I momenti più fruttuosi nei miei incontri con il mondo musulmano sono stati quando si parlava di questioni interdisciplinari o interculturali. Ho partecipato più volte, invitato dai musulmani, a incontri interreligiosi in varie parti del mondo musulmano: sempre si è parlato di incontro di religioni e civiltà, o culture. Due settimane fa, a Isfahan, nell’Iran, il titolo era “Incontro di civiltà e religioni”. Il 19 settembre prossimo, alla Pontificia Università Gregoriana a Roma, si terrà un incontro organizzato dal ministero della cultura in Iran con l’Italia e anche questo avrà a tema l’incontro fra le culture, con la presenza dell’ex presidente iraniano Khatami.
Il papa ha capito questo aspetto importante: discutere di teologia può avvenire solo tra pochi, ma non tra islam e cristianesimo, certo non per il momento. Invece si tratta di affrontare il vivere insieme sotto gli aspetti concreti della politica, dell’economia, della storia, della cultura, delle usanze.
Samir Khalil Samir