MENTRE TUTTO PASSA, DIO E’ OGGI, IERI E DOMANI.
Der Gott Jesu Christi (Il Dio di Gesù Cristo)
PARTE PRIMA IL TEMPO DELL’UOMO
Capitolo Primo
PRESENTE
Il presente è una formazione della coscienza umana che abbraccia e riduce a un “oggi” il passato e il futuro. Glaube und Zukunft (Fede e futuro)
IL MONDO MODERNO
Idoli di oggi
La prima proposizione della fede cristiana, l’orientamento di fondo della conversione del cristiano suona così: Dio è. Ma che cosa signifi ca tutto ciò? Che cosa vuol dire nella vita quotidiana in questo nostro mondo? Signifi ca innanzitutto che Dio è e di conseguenza gli “dèi” non sono Dio. Quindi è Lui che dobbiamo adorare, e nessun altro. Non è vero, però, che gli dèi sono comunque morti già da tempo? Una simile espressione non è chiara al punto da sembrare insignifi cante? Chi osserva attentamente la realtà, tuttavia, si pone anche un’altra domanda: è proprio vero che nel nostro tempo non si venera più nessun idolo? Non esiste proprio nulla che oggi adoriamo accanto e contro il Padre?
Non è vero che dopo la “morte di Dio” gli dèi hanno ripreso a esercitare il loro inquietante potere? Nel Grande Catechismo Lutero ha formulato in modo estremamente effi cace questa situazione: «Che cosa signifi ca avere un Dio o che cos’è Dio? Vuol dire avere ciò da cui ci si attende ogni bene e protezione in tutte le nostre diffi coltà. Avere un Dio non signifi ca altro che fi darsi di Lui con tutto il cuore e credergli con tutte le forze, come ho detto spesso, e che soltanto questa fi ducia e fede del nostro cuore fanno entrambi: Dio e l’idolo». In che cosa confi diamo e crediamo? Il denaro, il potere, la reputazione, l’opinione pubblica, il sesso non sono forse diventati dei poteri di fronte ai quali gli uomini si piegano, ai quali rendono un servizio idolatrico? Il mondo non assumerebbe un altro aspetto nel caso in cui questi dèi venissero deposti dai loro troni?
Camus e l’uomo moderno
La forma primitiva della fede come fede in una vita definitiva, che nel Cristo risuscitato si presenta come promessa per tutti noi, rimane veramente nella linea di Abramo: fiducia in un futuro che allo stesso tempo ci insegna a superare il presente. Con questo, però, che cosa si è fatto? Che cosa ne ha fatto Paolo? In lui il semplice Credo della promessa non è stato travasato nella dottrina complicata della giustificazione, che poi include tutta la cristologia e che dal tempo della Riforma divide la cristianità occidentale? Naturalmente la questione s’allarga da Paolo alla storia dei dogmi […].
Ora possiamo limitarci alla questione della trasformazione della fede nella risurrezione nella dottrina della redenzione e rispettivamente della giustificazione. Confesso di non aver mai capito così bene la connessione tra dottrina della giustificazione e promessa del futuro come leggendo un passaggio del romanzo di Albert Camus La caduta, dove un immaginario eroe riporta un’inquietante confessione pronunciata nel vuoto, la quale rispecchia tutta la problematica dell’uomo moderno. Dio, per lui, è diventato da tempo una grandezza superata. Per questo non spende molte parole su di Lui, ma uno dei pochi momenti nei quali questo tema affiora mi sembra di grande importanza per la riflessione dei cristiani. Ecco il testo: «Creda a me, le religioni sbagliano a partire dall’istante in cui predicano la morale e lanciano comandamenti. Il Padre celeste non è necessario per creare la colpevolezza, né per punire. Bastano i nostri simili, aiutati da noi. Lei accennava al giudizio universale. Mi permetta di ridere rispettosamente! Io lo aspetto senza paura: ho conosciuto il peggio, cioè il giudizio degli uomini […] Che cosa intendo dire? Questo: la sola utilità di Dio consisterebbe nel garantire l’innocenza, e io la religione la vedrei piuttosto come una grande impresa di lavatura, cosa che del resto è stata, ma per breve tempo, esattamente tre anni, e allora non si chiamava religione». Un Dio che fosse Dio (questo vuol dire il testo), non dovrebbe comandare e proibire, minacciare l’uomo e sorvegliarlo, ma dovrebbe difenderlo, dovrebbe perdonarlo.
La filosofia dell’epoca moderna
Dobbiamo ammettere inequivocabilmente che non si può provare la necessità di Dio per gli uomini nella stessa forma in cui è possibile verificare sperimentalmente la teoria dei quanti scoperta da Planck. Dicendo questo tocchiamo la vera radice del movimento fi losofi co dell’epoca moderna e il fondo del suo attuale dilemma, che praticamente ha portato in generale a una vasta distruzione della fi losofi a. Il pensiero fi losofi co dell’epoca moderna, al di là di tutte le contraddizioni nelle quali appare disperatamente dilaniato, è comunque guidato da una comune tendenza fondamentale: lo sforzo di rendere la fi losofi a una scienza esatta, di trattarla more geometrico, secondo l’espressione di Spinoza. Questa aspirazione diventa per il pensiero fi losofi co tanto più fatale quanto più le scienze esatte della natura si sviluppano e si esprimono nei loro metodi; nella stessa misura, infatti, aumenta la distanza tra la scientifi cità della fi losofi a e quella delle scienze della natura. Di fronte all’universalità, alla generalità, alla comunicabilità e alla verifi cabilità delle scienze naturali, che progrediscono continuamente e man mano aumentano sempre più il patrimonio delle cognizioni acquisite, sta una fi losofi a completamente divisa, nonostante tutti gli sforzi. I suoi rappresentanti si comprendono sempre meno tra loro e risulta difficile trovare due teste che la pensino allo stesso modo. Questo danneggia la reputazione della filosofi a, ma ciononostante questa prende sempre nuovi slanci, attraverso una rigorosa delimitazione del suo raggio e una chiara definizione dei suoi metodi, per diventare finalmente “positiva”, nel senso delle scienze della natura. Queste infatti si limitano al dato, a ciò che è chiaramente controllabile.
Tempo ed evoluzione
Forse mai come oggi l’uomo è diventato sensibile al fattore “tempo” ed “evoluzione”. Chi ha vissuto consapevolmente anche solo negli ultimi trent’anni si è trovato come gettato da un cambiamento all’altro. Ciò che ieri era ancora romanzo utopistico del futuro e presentava sogni inattuabili come realtà, oggi è superato dall’evoluzione, appare innocuo e modesto di fronte a ciò che viviamo e a quello che comincia a diventare possibile. Il sogno di Dedalo e Icaro non è più un mito lontano che conferma con rassegnazione la gravità terrestre cui soggiace l’essere umano al quale non sono cresciute le ali. Esso è diventato attuabile: la mano dell’uomo raggiunge il “cielo” e non vi è più nulla d’impossibile. Scompaiono i confini ben delineati della natura delle cose e subentra la mobilità di ogni realtà; la dottrina dell’evoluzione diventa per così dire credibile dall’interno e fattibile per l’individuo. Il mondo di una volta era contrassegnato dalla continuità. Usi e costumi rimanevano uguali di generazione in generazione. Uomini e cose apparivano ordinati in modo fisso. Sembrava inconcepibile che ci fosse un passaggio da una cosa all’altra, anche quando lo si considerava come fondato scientificamente e giusto. Oggi noi siamo testimoni dell’incompiutezza di ogni essere esistente, testimoni di una realtà che non è uno stato, ma un divenire.
Alla ricerca della verità
La rinuncia alla verità stessa, il ripiegamento su ciò che è constatabile e sull’esattezza dei metodi sono le caratteristiche tipiche dell’atteggiamento scientifico moderno. L’individuo si muove ancora soltanto nel suo guscio, il miglioramento dei metodi di osservazione non lo hanno condotto a una maggiore libertà e a penetrare nell’intimo delle cose, ma, al contrario, lo hanno reso prigioniero dei suoi schemi, prigioniero di se stesso. Se la letteratura è il termometro della coscienza di una società, essa allora porta a una diagnosi inquietante della situazione dell’uomo di oggi: un’ampia letteratura dell’assurdo rende chiara la crisi del concetto di realtà nella quale ci troviamo nel presente. La verità, la realtà stessa, si sottrae all’essere umano, che sembra (per citare il titolo di un libro di Günter Grass) sottoposto ad anestesia locale, capace soltanto di cogliere brandelli deformati del reale; egli è insicuro ovunque lo abbandoni la scienza esatta, e dalla misura del suo essere abbandonato comprende allora quanto sia esiguo, nonostante tutto, il settore di realtà nel quale questa scienza gli dà certezza. È vero che questo sentimento è lungi dall’essere diffuso ovunque: anche gli eventi hanno bisogno di tempo per avvenire, come nota Nietzsche nel suo aforisma sulla morte di Dio, in cui, come conseguenza di questo fatto, utilizza immagini eccitanti per annunciare l’uomo assurdo e una realtà assurda di cui si fa paladino con passione ardente. Le fosche visioni di Dostoevskij di un mondo senza Dio, che diventa un sogno allucinato, oggi cominciano a verificarsi in modo inatteso nei punti più sensibili della società, nella letteratura e nelle sue rappresentazioni dell’uomo.
Avvento, nostro presente
L’Avvento non è (come forse si poteva dire in tempi precedenti) un sacro rito rappresentativo della liturgia, in cui questa ci fa ripercorrere le strade del passato, mostrandoci ancora una volta chiaramente come è stato, affinché possiamo godere la salvezza di oggi più gioiosamente e beatamente. Dovremo invece riconoscere che l’Avvento non è solamente ricordo e commemorazione del passato, ma nostro presente e nostra realtà: la Chiesa non si limita a fare una rappresentazione, ma ci rimanda a ciò che costituisce la realtà della nostra esistenza cristiana. È con il significato del periodo d’Avvento nell’anno liturgico che essa fa rivivere questa coscienza. Con questo ci obbliga ad assumere una posizione di fronte a tale realtà di fatto, a riconoscere il gran numero di coloro che non sono ancora salvi, numero che non solo è stato presente nel mondo in un qualche tempo lontano e forse c’è ancora in alcuni luoghi distanti, ma che è realtà fra noi e nella Chiesa.
Il giorno del sabato
Nell’Antico Testamento il sabato è il giorno della libertà delle creature, il giorno nel quale l’uomo e l’animale, lo schiavo e il padrone riposano.
È il giorno in cui viene ripristinata, in mezzo a un mondo dove regnano la disuguaglianza e la schiavitù, la comunione fraterna di tutte le creature. Per un giorno la creazione ritorna al punto di partenza: tutti sono liberi in virtù della libertà di Dio. L’atteggiamento che Gesù assume nei confronti del sabato si traduce in una lotta non contro questo giorno, ma perché esso riacquisti il suo significato originario: perché sia il momento della libertà di Dio e non si trasformi, sotto l’influenza dei legulei, nel suo contrario, in un giorno tormentato dall’osservanza di prescrizioni minuziose.
Orrori di oggi
Oggi cresce di nuovo l’angoscia che sembrava scomparsa nel momento ottimistico del dopoguerra. Quando gli uomini posero per la prima volta il piede sulla luna, nessuno poté sottrarsi all’entusiasmo, alla fierezza, alla gioia per la grande impresa che l’essere umano era riuscito a compiere in quel momento. Si accolse l’avvenimento come la vittoria non di una nazione, ma dell’umanità. Tuttavia, nel momento della gioia si intrecciavano i motivi di una profonda tristezza, perché lo stesso uomo che aveva compiuto una tale inaudita impresa non è in grado di impedire che anno dopo anno migliaia e perfino milioni di persone muoiano di fame, perché non è in grado di dare a milioni di esseri umani, suoi fratelli, un’esistenza degna dell’uomo, perché non è in grado di porre fine alla guerra e di arrestare l’ondata crescente di violenza. Il potere tecnico non è necessariamente un potere umanitario; il potere di agire su se stessi sta su un
piano del tutto diverso rispetto a quello dell’esecuzione tecnica. […] Non c’è assolutamente bisogno che parliamo degli ultimi orrori, delle armi atomiche, delle armi biologiche, delle armi chimiche, anche se la provvista di queste cose terribili non può non rappresentare un potenziale terroristico, capace di agire in qualche modo nella coscienza sotto forma di angoscia nascosta. Dobbiamo guardare solo alla “città dell’uomo”: una crescente pianificazione signifi a anche sempre una pianificazione peggiore dell’uomo. Io penso che le eruzioni che scuotono la nostra società moderna siano anche un’insurrezione inconscia contro la totale pianificazione della nostra esistenza, che produce un senso di soffocamento da cui ci vorremmo difendere, anche se non è possibile. […] Noi sentiamo sempre più avversa la sorte delle nostre opere: aria, acqua, terra, che sono sempre gli elementi di cui viviamo, minacciano di decomporsi nell’alito velenoso della nostra tecnica; le energie che consumiamo ci appaiono, in ciò che esse lasciano indietro, come le forze capaci un giorno di distruggerci.
Viaggi nello spazio
Ci ricordiamo ancora di quando Juri Gagarin, tornato dal suo viaggio nello spazio – il primo nella storia dell’umanità – affermò di non aver visto nessun dio. Anche per l’ateo meno sprovveduto era ovvio che una simile affermazione non poteva costituire un argomento convincente contro l’esistenza di Dio. Che l’Onnipotente non si possa toccare con le mani oppure osservare con il telescopio, che non abiti sulla luna, su Saturno, su qualche pianeta o nelle stelle, lo sapevamo già, anche prima che ce lo dicesse Gagarin. Ciò a prescindere dal fatto che questo viaggio nello spazio, pur rimanendo un’impresa straordinaria per l’umanità, se riferito ai parametri dell’universo può venir considerato tutt’al più una breve passeggiata fuori della porta di casa. Inoltre, le conoscenze che ci ha fatto acquisire sono di gran lunga inferiori a quelle di cui potevamo già disporre in base ai nostri calcoli e osservazioni sul cosmo. Molto più intensa, invece, è la penosa sensazione di assenza di Dio che tutti provano ai nostri giorni. […] È questo il dramma dell’uomo nell’età della tecnica: questi ha ormai ogni potere sul mondo, ne conosce il funzionamento e le leggi che governano il suo corso. Il suo sapere è potere: egli è in grado, per così dire, di smontare questo cosmo per poi ricomporlo; per lui è un complesso di funzioni di cui si può servire e che si possono piegare alla sua utilità. In un simile universo, completamente sotto controllo, non c’è più nessuna possibilità di intervento del Signore.
Il buio interiore
È stato detto che il nostro secolo sarà caratterizzato da un fenomeno del tutto nuovo: l’incapacità, da parte dell’uomo, di conoscere il Signore. Lo sviluppo sociale e spirituale ha portato alla formazione di un tipo di essere umano al quale ormai manca ogni disposizione alla conoscenza dell’Altissimo.
Sia questo vero o falso, dobbiamo però riconoscere che la lontananza di Dio, il buio interiore, il dubbio circa la sua esistenza sono oggi più profondi che mai; anzi, anche noi che tentiamo con fatica di credere spesso abbiamo l’impressione che la sua realtà ci sfugga. Non ci chiediamo forse di frequente: «Dove se ne sta l’Onnipotente in mezzo al silenzio di questo mondo?». Non proviamo sovente la sensazione che al termine di ogni meditazione ci restino soltanto parole, mentre la realtà dell’Essere supremo è più lontana di prima? Da questa considerazione ne consegue un’altra. Credo che oggi la tentazione cui siamo soggetti noi cristiani non consista tanto nel dubbio teoretico circa l’esistenza di Dio o in quello della sua unità e trinità, e neppure in quello della divinità e umanità di Cristo. Ciò che oggi veramente ci opprime e tenta è piuttosto la constatazione dell’inefficacia del cristianesimo. Dopo duemila anni di storia cristiana non vediamo nulla di ciò che dovrebbe costituire la nuova realtà del mondo, ma troviamo invece gli stessi orrori, angosce e speranze di prima e di sempre.
Fede e scienza
Come risulta evidente, il mondo della pianifi cazione e della ricerca, del calcolo esatto e della sperimentazione da solo non basta. In fondo ce ne vogliamo liberare, così come ci vogliamo sbarazzare della vecchia fede, il cui contrasto con il sapere moderno la fa diventare un peso opprimente. Quella, però, non potrebbe essere un peso se non ci sentissimo toccati sul vivo da lei, se non ci fosse qualche cosa che ci impone di cercare oltre. Dobbiamo soffermarci […] sulla strana situazione dell’uomo moderno. […] Al presente l’esistenza umana è caratterizzata dal disagio non solo nei confronti della fede, ma anche del mondo dominato dalla scienza. Solo descrivendo questa duplice difficoltà […] è possibile, oggi, fornire una descrizione in qualche modo esatta dei presupposti del problema relativo al credere e al sapere. È questa la stranezza del nostro tempo: proprio nel momento in cui il sistema del pensiero moderno è giunto al suo termine, diventa palese la sua insufficienza, cosicché dobbiamo necessariamente arrenderci alla relativizzazione.
L’uomo nel tempo
È possibile considerare l’essere umano alla luce delle sue componenti fondamentali, spirito e corpo, Creatore e creazione, singolo e comunità, storia come spazio della nostra esistenza. Oltre che tener conto di queste strutture ampie e complesse che inseriscono l’individuo in un tutto possiamo anche, però, considerare che l’uomo non possiede mai la propria vita perfettamente e interamente nell’istante: anche nel singolo la vita si dilata nel tempo, e in definitiva l’uomo è soltanto la totalità di questa struttura temporale. In questa temporalità della persona si sviluppa anche il nesso tipicamente umano tra la sfera biologica e quella spirituale: il tempo dell’uomo è caratterizzato dallo sviluppo biologico che parte dall’infanzia e porta alla maturità, alla vecchiaia e infine alla morte. La sua vita si struttura in queste fasi biologiche. La religiosità del Medioevo e della prima età moderna, nella sua riflessione sull’essere uomo di Cristo, ha rivolto prevalentemente l’attenzione proprio a questo contenuto; parlava dei “misteri della vita di Gesù”, che intendeva come le singole fasi dell’itinerario storico e terreno del Messia. La preghiera contemplativa, cui seguì la pittura meditativa, si immergeva con entusiasmo in queste “acque” della vita del Messia, al fi ne di sperimentare il più possibile da vicino quella realtà incommensurabile che noi professiamo quando diciamo che «il Figlio di Dio si è fatto uomo».
Figure esemplari
Nelle riflessioni critiche sul nostro tempo non dobbiamo coinvolgere la Chiesa. Da una parte non possiamo dimenticare che anche ai nostri giorni ci sono offerti ottimi esempi di padri e di madri, e che grandi fi gure come Janusc Korczak e Madre Teresa dimostrano come, anche a prescindere dall’aspetto biologico, sia possibile realizzare il senso più vero e profondo della paternità e della maternità. D’altra parte dobbiamo tener conto del fatto che la realizzazione totalmente pura resta sempre un’eccezione e che l’immagine di Dio nell’uomo ha sempre conosciuto contaminazioni e deformazioni. Perciò è vuoto romanticismo dire: risparmiateci i dogmi, la cristologia, lo Spirito Santo, la Trinità, perché ci basta annunciare il Padre e la fraternità tra gli uomini, e vivere questo senza far ricorso a teorie mistiche – ciò soltanto sarebbe importante. Questa esigenza potrebbe sembrare legittima, ma su questa via si arriva davvero a conoscere l’essere così complicato che è l’uomo? Come possiamo fare per sapere che cosa significhi essere padri, essere fratelli, in modo tale da poter fondare su questo la nostra fiducia?
Joseph Ratzinger, 1976
Titoli originali:
Der Gott Jesu Christi. Betrachtungen über den dreieinigen Gott by Joseph Ratzinger © 1976 Kösel Verlag, a division of Verlagsgruppe Random House GmbH, München
Vom Sinn des Christseins. Drei Predigten by Joseph Ratzinger © 1971 / 2005 Kösel Verlag, a division of Verlagsgruppe Random House GmbH, München
Die christliche Brüderlichkeit by Joseph Ratzinger © 1960 / 2006 Kösel Verlag, a division of Verlagsgruppe Random House GmbH, München
Glaube und Zukunft. Kleine Schriften zur Theologie by Joseph Ratzinger © 1970 / 2007 Kösel Verlag, a division of Verlagsgruppe Random House GmbH, München
Through Giuliana Bernardi Literary agent
Traduzione di Anna Maria Foli
ISBN 978-88-566-3395-5
I Edizione 2017
© 2017 – EDIZIONI PIEMME Spa, Milano http://www.edizpiemme.it
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