I QUATTRO ANNI DI SCUOLA AD ASCHAU. L’ANNO LITURGICO DAVA AL TEMPO IL SUO RITMO.
C’era allora un insegnante giovane, oltre tutto assai dotato, che era entusiasta delle nuove idee (nazionalsocialiste). Egli volle fare un tentativo di aprire una breccia nella stabile compagine della vita del paese, tutta scandita dai tempi liturgici della Chiesa. Con grande pompa fece innalzare l’albero di maggio e compose una sorta di preghiera al simbolo della forza della vita che sempre si rinnova. Quell’albero doveva rappresentare l’inizio della restaurazione della religione germanica, contribuendo a reprimere il cristianesimo, denunciato come elemento di alienazione dalla grande cultura germanica. Con la stessa intenzione, organizzò anche le feste del solstizio d’estate, sempre come ritorno alla natura santa e alle proprie origini, e in polemica con le idee di peccato e di redenzione, che ci sarebbero state imposte dalle religioni a noi estranee di Ebrei e Romani. Oggi, quando sento come in molte parti del mondo il cristianesimo venga accusato di aver distrutto le culture locali, imponendo dei valori culturali europei, mi stupisco di quanto siano analoghe le argomentazioni che vengono addotte e di quanto mi siano tristemente familiari certe espressioni retoriche. Per fortuna quegli slogan potevano ben poco sulla sobria mentalità dei contadini bavaresi. I ragazzotti del paese si interessavano più alle salsicce che pendevano dall’albero e che finivano nelle tasche di quelli che vi si arrampicavano più in fretta, che agli altisonanti discorsi del maestro di scuola.
Un altro segno inquietante dei nuovi tempi fu il faro che venne ben presto costruito sul Winterberg, una delle colline che circondano il paese. Di notte, quando tagliava il cielo con la sua luce abbagliante, ci appariva come il balenare di un pericolo, che non si sapeva ancora come chiamare. Venne sparsa la voce che in quel modo si potevano avvistare degli aerei nemici. Ma sul cielo di Aschau non c’erano aerei, tanto meno nemici. Sotto sotto si sapeva che si stava preparando qualcosa, che poteva solo essere motivo di profonde inquietudini, ma nessuno riusciva a credere che stesse per accadere qualcosa di abnorme in quel mondo apparentemente ancora in pace. Quando ce ne andammo, nel 1937, venimmo a sapere che era stata progettata la costruzione di un “impianto”, che presto si levò, accuratamente nascosto, nella foresta. Si trattava di una fabbrica di munizioni, che non poteva essere individuata dal cielo: quel che ci aspettava, cominciò così ad assumere una forma chiara e terribile.
Ma, come ho detto, tutto questo non lo abbiamo vissuto di persona. Nel frattempo la vita quotidiana nel paese rimase, nell’insieme, quella di sempre. Dapprima mio fratello divenne chierichetto; poi, quando nel 1935 incominciò a frequentare il ginnasio a Traunstein, ospite del Collegio Arcivescovile, io ne seguii le orme, senza peraltro essergli pari per zelo e bravura. A partire da quello stesso anno, mia sorella cominciò a frequentare la scuola media femminile di Au sull’Inn, tenuta dalle Suore Francescane in un antico complesso monastico dei Canonici Agostiniani, che comprendeva anche una delle più belle chiese barocche della nostra terra bavarese. La Chiesa continuava quindi, almeno per il momento, a dare la sua impronta alla formazione scolastica, anche se la scuola di Au sull’Inn si trovava già esposta a diverse angherie. Anche la vita dei contadini restava fortemente inserita in una stabile simbiosi con la fede della Chiesa: nascita e morte, matrimonio e malattia, semina e raccolto – tutto era compreso nella fede. Anche se il modo di vivere e pensare delle singole persone non corrispondeva sempre alla fede della Chiesa, tuttavia nessuno si sarebbe potuto immaginare di morire senza la Chiesa о di vivere senza la sua compagnia altri grandi eventi della propria vita. Questa si sarebbe semplicemente persa nel vuoto, avrebbe perso il luogo che la sosteneva e che le dava senso. Non ci si accostava alla Comunione tanto frequentemente come oggi, ma c’erano alcuni appuntamenti fissi per ricevere il sacramento, a cui quasi nessuno si sottraeva; se uno non poteva mostrare il fogliettino che attestava la confessione pasquale, sarebbe stato considerato un asociale. Oggi, quando sento dire che tutto questo era molto esteriore e superficiale, riconosco certamente che diversi lo facevano più per obbligo sociale che per convinzione interiore. Eppure non era del tutto privo di significato il fatto che a Pasqua anche i grandi contadini, che erano dei veri proprietari terrieri, si facessero piccoli piccoli inginocchiandosi nei confessionali per accusare i loro peccati, non diversamente dai loro servi e dalle loro serve, che allora erano ancora molto numerosi. Questo momento di umiliazione personale, in cui tutte le differenze di classe venivano a cadere, non rimaneva certamente senza conseguenze. L’anno liturgico dava al tempo il suo ritmo e io ho percepito questo fatto fin da bambino, anzi, proprio da bambino, con grande gioia e riconoscenza. In avvento, al mattino presto venivano celebrate solennemente le Messe Rorate nella chiesa ancora buia, illuminata solo dalle candele. L’attesa gioiosa del Natale dava a quei giorni malinconici un loro particolare carattere. Ogni anno il nostro presepe aumentava di qualche figura ed era sempre motivo di grande gioia andare con papà nel bosco a raccogliere muschio, ginepro e ramoscelli d’abete. In quaresima, di giovedì venivano organizzati dei momenti di adorazione, detti dell’Orto degli Ulivi, con una serietà e una fede che mi toccavano profondamente. Particolarmente impressionante era poi la celebrazione della resurrezione, la sera del Sabato Santo. Per tutta la Settimana Santa le finestre della chiesa erano state oscurate da tendaggi neri, così che l’ambiente, anche in pieno giorno, risultava immerso in un’oscurità densa di mistero. Ma non appena il parroco cantava il versetto che annunciava «Cristo è risorto!», le tende venivano improvvisamente calate dalle finestre e una luce radiosa irrompeva in tutto lo spazio della chiesa: era la più impressionante rappresentazione della resurrezione di Cristo che io riesco a immaginarmi. Il movimento liturgico, che aveva raggiunto allora il suo punto più alto, aveva lambito anche il nostro villaggio. Il parroco cominciò a organizzare per i ragazzi delle scuole delle messe comunitarie in cui i testi venivano letti dallo “Schott” e le risposte recitate in comune.