Sentivamo che il nostro sereno mondo infantile non era affatto incastonato in un paradiso. Dietro le belle facciate si nascondeva tanta silenziosa povertà. La crisi economica aveva colpito molto seriamente la nostra piccola cittadina di frontiera, dimenticata dal progresso. Il clima politico si faceva sempre più incandescente. Anche se non comprendevo in tutti i particolari quel che stava avvenendo, nella mia memoria è rimasto molto chiaro il ricordo degli appariscenti manifesti elettorali e dei continui scontri politici a cui essi rimandavano. L’incapacità della repubblica di garantire la stabilità politica e di prendere delle iniziative politiche convincenti era più che evidente in questa esasperazione delle lotte partitiche, percettibile persino da un bambino. Il partito nazista faceva sempre più fortemente la sua comparsa, presentandosi come l’unica alternativa al caos incombente. Quando Hitler fallì il suo tentativo di essere eletto alla presidenza del Reich, mio padre e mia madre si sentirono più sollevati, ma non erano affatto entusiasti del presidente eletto Hindenburg, in cui non vedevano alcuna garanzia sicura contro l’avanzata delle camicie brune. Nelle adunanze pubbliche, mio padre doveva intervenire sempre più di frequente contro le violenze dei nazisti. Sentivamo molto chiaramente l’enorme preoccupazione che gravava su di lui e che egli non riusciva a scrollarsi di dosso nemmeno nei piccoli gesti di ogni giorno.
Così, alla fine del 1932, mio padre decise di trasferirsi ancora una volta, dal momento che a Tittmoning si era esposto parecchio contro i nazisti. A dicembre, poco prima di Natale, ci trasferimmo nella nostra nuova residenza, ad Aschau sull’Inn, un grosso paese contadino, con delle grandi fattorie di notevole fattezza. Mia madre fu piacevolmente sorpresa della bella casa che ci venne assegnata. Un contadino aveva costruito una villetta con terrazza e verone, che per i criteri di allora era davvero moderna, affittandola poi alla gendarmeria. L’ufficio e l’appartamento del secondo gendarme erano situati al pianterreno. A noi era destinato il primo piano, in cui trovammo un’accogliente dimora. Della villa faceva parte un giardinetto antistante, con un bel Crocifisso che dava sulla strada e, inoltre, un grande prato con uno stagno fornito di grosse carpe, nel quale una volta, mentre giocavo, fili lì lì per annegare. In mezzo al villaggio, come si usa in Baviera, c’era una grande fabbrica di birra, la cui osteria alla domenica era il punto d’incontro degli uomini; la piazza vera e propria si trovava all’altro capo del paese, con un’altra grande osteria, la chiesa e la scuola. A noi bambini mancava ovviamente la grandiosità della piccola città di cui eravamo stati tanto fieri. La graziosa chiesetta neogotica del villaggio non poteva reggere il confronto con ciò cui eravamo abituati a Tittmoning. I negozi erano semplici e il dialetto un po’ più rauco, così che all’inizio non capivamo alcune parole. Molto presto, però, imparammo ad amare il nostro paese e a stimare le sue bellezze.
Ma ci piombò addosso la storia, quella grande. Eravamo nel dicembre del 1932. Il 30 gennaio 1933 Hindenburg affidò a Hitler l’incarico di cancelliere del Reich. I nazisti parlarono subito di “presa del potere”, e di questo effettivamente si trattò. Il potere venne infatti esercitato fin dal primo momento. Non ricordo più nulla di quel giorno piovoso, ma i miei fratelli mi hanno raccontato che la scuola dovette organizzare una marcia attraverso il paese, che si risolse in un calpestìo sotto la pioggia e non suscitò grande entusiasmo. Anche ad Aschau, comunque, vi erano già dei nazisti dichiarati e altri nascosti, che finalmente videro arrivata la loro ora e che, con grande spavento di molti, tirarono fuori dal cassone la loro uniforme bruna. Vennero introdotte la Hitlerjugend [Gioventù Hitleriana] e il Bund deutscher Madchen [Lega delle ragazze tedesche], collegate alla scuola, così che anche mio fratello e mia sorella dovettero prendere parte alle loro manifestazioni. Mio padre soffriva molto per il fatto di dover stare al servizio di un potere statale, i cui vertici considerava dei criminali, anche se, grazie a Dio, il suo lavoro nel paese a quel tempo non ne era quasi toccato. Nei quattro anni che noi trascorremmo qui, per quel che posso ricordarmi, il nuovo regime si mosse solo per spiare e tenere sotto controllo i sacerdoti che avevano una condotta “ostile al Reich”; va da sé che mio padre non vi prese mai personalmente parte; al contrario, mise in guardia e aiutò quei sacerdoti di cui sapeva che correvano pericolo. Per il resto, il nazionalsocialismo riuscì solo a poco a poco a incidere sulla vita del piccolo paese. Inizialmente, come si usava in Baviera, il maestro continuò a fare anche l’organista e il direttore del coro della chiesa e continuò anche a occuparsi delle lezioni di Bibbia, mentre il catechismo spettava al parroco. All’inizio parve, anzi, che tutto questo potesse venire ulteriormente garantito dal Concordato, ma ben presto si vide che per i nuovi padroni la fedeltà ai patti non contava nulla. Venne scatenata la battaglia contro le scuole confessionali: bisognava liquidare il legame ancora esistente tra Chiesa e scuola e fondamento spirituale di quest’ultima doveva essere non la fede cristiana, ma l’ideologia del Fuhrer.
JOSEPH RATZINGER – LA MIA VITA